di Alessia Dello Iacono*
Un dolore incolmabile. Un’assenza lacerante. E’ indescrivibile la perdita di un figlio. Proprio come quella di un fratello. Alfredo Iannuzzi era un ragazzo di 22 anni. Viveva a Montefalcione. Impiegato nella ditta idraulica del suo amico Anthony. Amava le moto, fare baldoria con gli amici e passare le serate nel bar del paese. Un ragazzo con tanta voglia di vivere. E tanti progetti. Progetti svaniti nel niente due anni fa.
14 maggio 2014. Silvia Iannuzzi ha 14 anni e frequenta la terza media. Quel giorno perde suo fratello Alfredo in un incidente stradale. Erano le 11 e mezza di sera e la ragazza dormiva a casa, insieme alla madre. «Ricordo tutto come fosse ieri, non dimenticherò mai» - spiega Silvia -. «Mi svegliò il campanello di casa ed ebbi subito il presentimento che fosse successo qualcosa ad Alfredo.» Scese le scale e chiese ai carabinieri cosa fosse successo. Non immaginava una disgrazia del genere. Sentì la madre parlare al telefono con il padre e dire: «Elio, tuo figlio è morto.»
Buio totale. Silvia è distrutta. Non lo accetta. Non capisce perché proprio a suo fratello sia toccata questa fine. Crede stia sognando. «Pensavo fosse un incubo e dovevo svegliarmi - confessa -. Mi davo dei pizzicotti sul braccio fino a lasciarmi il segno.» Però era la realtà. E con questa nuova consapevolezza iniziano le lacrime. Piangere non lo riporterà indietro, ma non riusciva a fare altro. La sera del 14 maggio 2014 sarà una notte molto lunga per Silvia Iannuzzi.
Sono passati due anni. Silvia è cresciuta ma ancora arrabbiata. «Mio fratello non ha avuto giustizia - afferma -. La ragazza che lo ha ucciso non ha scontato un giorno di carcere.» Alfredo era con il suo scooter 125 quella notte. L’auto che lo ha travolto sulla variante era alla guida di una ragazza di 22 anni. Procedeva contromano. «Come posso accettare che mio fratello sia stato ucciso in questo modo?». Si chiede Silvia. «E’ più doloroso ancora sapere che non è stata colpa sua.» LIL reato di omicidio stradale non c’era ancora. La ragazza se l'è cavata con il ritiro della patente. Ma dopo otto mesi l’ha riavuta.
«Non perdono.» Dice a denti stretti.
Il suo rapporto con Alfredo era bellissimo. Nonostante gli otto anni di differenza, erano molto legati. La trattava come una figlia. «Eravamo complici - mi spiega -. Ci coprivamo a vicenda con i nostri genitori.» Scappa qualche lacrima, mentre fissa il vuoto. Ma se lei ha sofferto e continua a soffrire, i genitori sono morti dentro.
Anche i suoi amici più stretti lo ricordano ancora. Nel bar di Montefalcione c'è uno striscione in sua memoria. E il 3 settembre di quest’anno c’è stato un memorial per lui e altri due ragazzi. Morti anche loro, e sempre a causa di un incidente stradale. Antonio e Fabio.
«Un mese dopo la sua morte dovevo affrontare l’esame di terza media - racconta - ma la mia testa era altrove.» Impossibile concentrarsi. Ha perso un pezzo importane della sua vita. Dopo due anni, cerca di guardare avanti e mostra la sua macchina 50. Sul retro c’è una scritta. “Hazzardo”. Era il soprannome del fratello. Si “azzardava” a fare tutto. Non si tirava indietro. Gli piaceva mettersi alla prova. Silvia guarda con ammirazione e orgoglio quelle otto lettere perché raccontano il vero Alfredo. Lei non si separa mai da questa macchina. «E’ come se ogni volta che sono in giro, lui viene con me e non mi abbandona.» Sorride, ma è un sorriso lieve. Quasi impercettibile.
Questa ragazza si fa forza da sola. Ha imparato quanto può essere breve la vita e quanto è importante tenersi stretti i propri cari. Così cerca di vivere tutto fino all’ultimo. E non dimentica di portare suo fratello nel cuore. Per sempre.
*Studentessa del corso di giornalismo organizzato da Ottopagine nell'ambito dell'iniziativa scuola/lavoro.