“Il traffico di droga gestito dal capo clan dal carcere di Avellino, accertato dall’operazione della Dda, è la prova provata che il carcere non è solo suicidi di detenuti ed aggressioni ad agenti ma soprattutto un problema di sicurezza nazionale.
Le carceri siciliane, pugliesi, calabresi e campane sono totalmente in mano alle mafie”. Lo afferma il segretario generale del sindacato polizia penitenziaria Aldo Di Giacomo che aggiunge:
"Da quattro anni denunciamo che la mafia, la camorra e la ‘ndrangheta, in generale la criminalità organizzata, si combattono dal carcere da dove continuano a comandare, a decidere traffici e omicidi e a seminare terrore tra operatori economici e cittadini.
Si pensi solo al traffico di stupefacenti interno. Nelle celle il mercato della droga si è evoluto: oltre a sostanze stupefacenti di ogni tipo, tra ’Blu Punisher’ e di altri tipi di pasticche, farmaci tritati o sniffati (l'orudis 200, il contramal, lo stinox, il lentomil - che vengono date per terapia – per citarne alcuni e persino la tachipirina), cerotti alla morfina, francobolli con colla ricavata da stupefacenti, spaccio e consumo hanno subito cambiamenti notevoli che il personale penitenziario non è certo in grado di cogliere e tanto meno contrastare. Intorno al traffico e all’uso di droga è sempre la criminalità organizzata a fare affari controllando, come è accaduto per l’inchiesta di Avellino, le più grandi piazze di spaccio fuori.
Noi da tempo abbiamo messo in guardia sul nuovo corso della Mafia 2.0” e solo adeguando l’attività investigativa dentro gli istituti penitenziari e quelli del 41 bis diventa possibile dare il colpo decisivo ai continui tentativi di riorganizzazione e ai traffici della criminalità organizzata.
Questo però non è certo possibile con l’assunzione di poche decine di agenti penitenziari, avvenuta con grande enfasi nelle scorse settimane, che restano insufficienti perché a mala pena e non in tutti gli istituti riescono a rimpiazzare i posti degli agenti in pensione.
Da parte dell’Amministrazione Penitenziaria, del Governo e della politica - continua il segretario - si preferisce fare come le “tre scimmiette” (non vedo, non sento, non parlo) dedicando più tempo alle celle-container e alle casette dell’amore con l’effetto immediato di scoraggiare le vittime di mafia a collaborare. In questo scenario è possibile leggere il calo del 5% di casi di collaborazioni con la giustizia nel giro dell’ultimo anno.
La “lezione di Avellino” - conclude - è di riprendere il controllo delle carceri togliendolo alle mafie per ristabilire legalità e sicurezza dentro e fuori".