di Paola Iandolo
Si è concluso con una sentenza di "non doversi procedere per intervenuta prescrizione" il processo a carico di un imprenditore titolare di una ditta in città che si occupava di pulizie. La ditta era stata dichiarata fallita nel 2014, per “bancarotta documentale fraudolenta”, perché avrebbe sottratto per tutto il periodo di riferimento, gli atti contabili relativi alla stessa impresa
Nel ricorso per Cassazione presentato dai suoi legali, gli avvocati Orlando Cipriano e Paolino Salierno, era stato evidenziato un solo elemento di impugnazione, ovvero la mancanza di sicurezza sulla consapevolezza e sull’ormai noto elemento soggettivo da parte dell’imputato: “Orbene, anche in tal senso, la motivazione resa dall’impugnata sentenza soffre di un’evidente lacuna, essendosi la Corte territoriale limitata ad affermare che l’imputato doveva “essere consapevole che tale condotta avrebbe reso impossibile la ricostruzione del patrimonio della società”. I magistrati della V Sezione Penale avevano annullato con rinvio, lo scorso maggio, la sentenza della II Sezione Penale della Corte di Appello di Napoli. L’appello bis, davanti ai magistrati della III Sezione si è chiuso con la prescrizione.
L’Avv. Paolino SALIERNO: “pur in attesa delle motivazioni, è evidente che il nuovo esame della III Sezione Penale della Corte di Appello di Napoli – dopo l’annullamento con rinvio della precedente statuizione della II Sezione, compiuto dalla V Sezione della Suprema Corte di Cassazione – è approdato all’accoglimento dell’originaria tesi difensiva per cui il fatto è stato riqualificato da bancarotta fraudolenta documentale a bancarotta semplice documentale con consequente declaratoria – consentita esclusivamente per quest’ultimo più tenue reato avente un relativo termine ridotto - di non doversi procedere per essere il reato estinto per intervenuta prescrizione. Infatti, la Cassazione aveva posto il punto fermo per cui l’ipotesi di reato contestata rientrava nell’alveo della bancarotta fraudolenta documentale specifica rispetto alla quale la Corte territoriale partenopea, nel nuovo esame, doveva motivare nel merito circa la sussistenza dell’elemento soggettivo di tale fattispecie ovvero il dolo specifico. Orbene, in sede di rinvio, la Corte di Appello di Napoli non ha potuto non condividere l’insussistenza di elementi in ordine alla volontà dell’assistito di arrecare pregiudizio ai creditori nonché l’insussistenza di un’attività distrattiva che il disordine contabile apparisse destinato a celare e, dunque, in definitiva, l’insussistenza stessa dell’elemento soggettivo della fattispecie criminosa contestata. C’è grande soddisfazione professionale in quanto, in concreto, il risultato difensivo è estremamente rilevante poiché l’imputato dall’originaria condanna ad anni 3 di reclusione oltre all’interdizione per anni 10 dai pubblici uffici nonché all’inabilitazione all’esercizio di un’impresa commerciale ed altresì all’incapacità di esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa per anni 10, esce da questa annosa vicenda giudiziaria senza alcuna sanzione penale, di nessun tipo, né restrittiva né accessoria né tantomeno pecuniaria”.