Nella calura soffocante dell'estate, all'interno delle mura della Casa circondariale di Bellizzi Irpino, le celle si trasformano in veri e propri inferni di cemento, dove il calore intenso si somma all'affollamento, rendendo la vita dei detenuti una prova estenuante di resistenza psicofisica. In questo contesto, gli episodi di autolesionismo e i tentativi di suicidio diventano purtroppo frequenti, sintomi estremi di un disagio che fatica a trovare ascolto e qualche sollievo.
Oggi pomeriggio, la responsabile regionale dell'Osservatorio Carcere Campania, l'avvocato Giovanna Perna, si è trovata di fronte a uno di questi drammatici accadimenti vivendo in prima persona un evento carico di tensione. Nel mentre camminava lungo il percorso che la conduceva nella sezione ove sono ubicate le classi all’interno della quale ad attendere Lei ed il dott.Centomani già Direttore del CGM Campania, c’erano alcuni ospiti della struttura, per parlare di Giustizia riparativa, in prossimità dell’ingresso che porta al corridoio impregnato di umidità, in considerazione delle elevate temperature, e tensione, è stata testimone di una scena cruda: un detenuto, un uomo dal fisico robusto e dall’aspetto poco rassicurante, con un corpo pieno di tatuaggi, stava arrecando ferite profonde al suo braccio con una lametta, il sangue scorreva copioso sul braccio sinistro e sul rialzo di cemento in prossimità di uno degli ingressi che porta all’interno delle sezioni, attorno a lui, un gruppo di agenti penitenziari pur consapevoli della minaccia che il detenuto rappresentava per loro, tentavano freneticamente di dissuaderlo, cercando di evitare ulteriori danni anche a se stesso.
La scena era di un'intensità emotiva straordinaria, la paura era palpabile, non solo per la concreta possibilità che si scatenasse una violenza fisica, ma per l'evidente sofferenza psicologica del detenuto, un'anima tormentata, intrappolata in una spirale di rabbia e disperazione dove oltre al linguaggio farneticante, brandiva la lametta contro sé stesso e minacciando gli agenti antistanti.
In questo contesto di pericolo, l'avvocato Giovanna Perna agisce istintivamente, senza alcun timore e con un coraggio che sfida la razionalità, si avvicina al detenuto che continua a ferirsi con la lametta mentre il sangue fluisce abbondantemente su tutto il braccio. La tensione è alle stelle mentre gli agenti penitenziari osservano allarmati con ansia crescente, Giovanna, nonostante l'apparente fragilità del suo aspetto, sprigiona con la gentilezza tutta la sua forza empatica, penetra l'atmosfera carica di tensione e disorienta il detenuto sorpreso da tanto coraggio.
Superato l'imbarazzo iniziale, Giovanna si ferma a un passo dall'uomo il cui sguardo vacilla tra la rabbia e la disperazione e con voce calma e gentile, chiede: "Per favore, dammi la lametta." Il detenuto, con un'espressione di sfida, si rifiuta di consegnarla, ma si intuisce che quello scampolo di inattesa umanità in fondo gli fa piacere. Giovanna capisce che deve guadagnarsi la fiducia di quell'uomo ferito, non solo nel corpo ma anche nell'anima ed inizia a parlare con lui modulando il tono della voce che diventa calmo, pacato e premuroso. Cerca di capire il motivo che si cela dietro quel gesto estremo, ed esplorando le profondità della sua sofferenza, lentamente, tra le parole sussurrate e le promesse di ascolto, emerge la verità: il detenuto è stato trasferito dal Carcere di Aversa.
Lontano da Aversa, lontano da suo figlio, questa è la fonte della sua rabbia e disperazione, Giovanna, toccata da questa rivelazione, comprende la profondità del suo dolore, sa che non può promettere l'impossibile, ma può offrire qualcosa di altrettanto prezioso: la speranza.
"Capisco il tuo dolore," dice, guardandolo dritto negli occhi," prometto di fare tutto il possibile per aiutarti a risolvere questa situazione; come responsabile regionale dell'Osservatorio Carcere e collaboratrice del Garante provinciale delle persone private della libertà personale, mi impegnerò personalmente affinché tu possa continuare ad avere i colloqui con tuo figlio."
Le parole di Giovanna hanno un effetto calmante sul detenuto, vedere qualcuno che non solo ascolta, ma che è anche disposto ad agire ed impegnarsi, inizia a sciogliere il muro di disperazione che lo circonda. Giovanna coglie questo momento di vulnerabilità per fare un passo decisivo. "Ora, per favore, dammi la lametta," dice, questa volta con una dolcezza che contiene una supplica. Il detenuto, ancora titubante, sembra pesare le sue opzioni, ma la sincerità di Giovanna, il suo impegno genuino, vincono alla fine ogni ritrosia. Lentamente, allunga la mano, la lametta ancora intrisa di sangue, e Giovanna non esita, accettando quell'oggetto con mani che non temono di sporcarsi, Il sangue del detenuto macchia le sue dita, un simbolo del legame che si è formato in quel momento cruciale.
Con la lametta finalmente nelle sue mani, Giovanna chiede al detenuto di farsi medicare. "Ti prego, lascia che ti aiutino con le ferite," dice e l'uomo, ormai completamente disarmato, sia fisicamente che emotivamente, annuisce.
Gli agenti penitenziari, che hanno osservato l'intera scena, si muovono per prestare le cure necessarie. Mentre si lascia prendere dagli agenti, il detenuto borbotta in dialetto frasi di minaccia nei loro confronti, la tensione rimane alta. Giovanna, con la stessa calma e determinazione, continua a parlargli, cercando di calmare definitivamente l'animo tormentato dell'uomo. Le sue parole gentili e premurose riescono a rassicurarlo ulteriormente, convincendolo a farsi curare senza ulteriori resistenze.
Il momento in cui Giovanna prende la lametta è carico di significato, non solo disarma un uomo in preda alla disperazione, ma stabilisce una connessione umana profonda. Questo atto di coraggio e comprensione va oltre la sua professione, rappresentando un esempio luminoso di come l'empatia e la carica umana consolatrice possano fare la differenza nelle situazioni più critiche.
Questo episodio mette in luce l'importanza delle pari opportunità e del ruolo complementare che uomini e donne possono svolgere in situazioni di crisi. Giovanna dimostra che la dolcezza e il calore umano possono essere armi potenti contro la violenza e la disperazione. Il suo gesto non solo previene una tragedia, ma offre anche una lezione di vita, ricordando a tutti che, anche nei momenti più bui, c'è sempre spazio per la speranza e la redenzione.
In un sistema carcerario spesso criticato per le sue condizioni disumane e la mancanza di risorse, l'intervento di Giovanna rappresenta un faro di speranza, un modello da approfondire, una risorsa che in molte difficili situazioni può fare la differenza.
La sua azione dimostra come un approccio umano e comprensivo possa portare a cambiamenti positivi, non solo per i detenuti, ma per l'intera società. È essenziale che gesti come il suo ricevano il riconoscimento che meritano, non solo per onorare chi li compie, ma per ispirare una riforma sistemica nel trattamento dei detenuti e nella gestione delle carceri.
Il Coraggio e la dolcezza: l'intervento di Giovanna Perna nel deserto della disperazione
Grande Giovanna, armata solo di parole, calore umano e comprensione, ha compiuto un gesto straordinario. Di fronte a un detenuto in preda alla disperazione, che stava infliggendosi ferite profonde sulle braccia con una lametta, ha scelto di intervenire con una calma e una determinazione impressionanti. In un contesto dove la tensione era palpabile e gli agenti penitenziari cercavano disperatamente di evitare ulteriori danni, Giovanna ha dimostrato come l'empatia e la dolcezza possano essere potenti strumenti di dissuasione e di guarigione. La sua capacità di affrontare la violenza con la dolcezza e di opporre il calore umano al freddo deserto della disperazione è una lezione etica straordinaria. Giovanna non ha solo disarmato fisicamente un uomo in preda alla disperazione, ma ha anche smantellato, almeno per un momento, la barriera di alienazione e sofferenza che spesso caratterizza la vita carceraria. Questo gesto va oltre i limiti della sua professione, mostra una profondità umanità che solo una grande donna illuminata poteva esprimere.
L'intervento di Giovanna mette in luce l'importanza delle risorse delle pari opportunità e del ruolo complementare che uomini e donne possono svolgere in situazioni critiche. Le sue azioni incarnano l'ideale di un approccio umanitario alla giustizia, dove la comprensione e la compassione possono prevenire tragedie e salvare vite. In un sistema penitenziario desolante per le sue condizioni disumane e la mancanza di risorse, il suo gesto rappresenta un esempio di come le riforme non siano solo necessarie ma urgentemente vitali.
L'atto di Giovanna Perna è dunque un promemoria potente del potenziale che risiede nell'umanità e nel coraggio individuale. La sua capacità di trasformare un momento di crisi in un'opportunità di connessione umana e guarigione rappresenta un esempio luminoso di come le pari opportunità e un approccio etico alla giustizia possano fare la differenza.
È fondamentale che atti di questo tipo ricevano un pubblico riconoscimento, non solo per onorare chi li compie, ma per sensibilizzare l'opinione pubblica sulla necessità di riforme strutturali e umane nel sistema carcerario. L'Osservatorio Carcere, attraverso la figura di Giovanna Perna, continua a svolgere un ruolo cruciale nel monitoraggio delle condizioni penitenziarie e nella promozione di pratiche che possano migliorare la vita dei detenuti, garantendo loro dignità e un percorso di reintegrazione sociale. Questo episodio, per quanto doloroso, è un promemoria della resilienza e del potenziale di cambiamento che risiede nelle mani di chi è disposto a confrontarsi con le sfide più ardue con umanità e determinazione.
Carlo Vighi
Consulente ricercatore - esperto nazionale in digital marketing