Livia Forte e il mistero della chiave del tribunale che aveva in tasca

Aspettiamo ancora di sapere il perché di quel privilegio e grazie a chi

livia forte e il mistero della chiave del tribunale che aveva in tasca
Avellino.  

Il procuratore Domenico Airoma ieri si è lasciato andare a delle dichiarazioni robuste. Lamenta, il capo degli pubblici ministeri di Avellino, una sorta di rilassatezza civica nel tessuto sociale di questa provincia. Quell'antica abitudine a girare la testa dall'altra parte fin quando le cose non si avvicinano a meno di un metro dai nostri interessi.

Non è un caso che il procuratore Airoma abbia atteso la fine del primo grado del processo a quello che le forze dell'ordine (compiendo un madornale errore di comunicazione) si sono ostinate a definire nuovo clan Partenio, onorando il gruppo dei fratelli Galdieri di una continuità delinquenziale, che poi fa breccia proprio in quell'immaginario che conduce alla distrazione dai doveri di cittadino. Una medaglia al valor camorristico attribuita per “legato” ereditario maledettamente sbagliata.

A differenza del “nuovo”, il primo clan Partenio sparava, uccideva. Prendeva a colpi di lupara le porte delle caserme dei carabinieri e schiaffeggiava i comandanti di stazione davanti a decine di persone riducendoli al silenzio. Uccideva i nemici sotto casa loro o mentre giocavano a carte davanti ai bar. Forniva i killer ad altri e più quotati clan napoletani. Il clan Partenio ha fatto sparire persone che non sono mai state ritrovate, date in pasto ai maiali, si dice.

Ecco il carico di “paura” regalato con la sciocchezza non ponderata di annodare quel filo rosso criminale.

Quindi, anche la Procura dovrebbe fare qualche mea culpa. La comunicazione ufficiale non può alimentare il mito, la gomorra che poi finisce per influenzare la risposta civica.

E, giusto per chiarirsi fino in fondo riguardo la risposta debole al rischio criminalità, c'è un altro, devastante, mito non sufficientemente percepito dagli inquirenti della Direzione distrettuale antimafia: il mistero della chiave del tribunale che Livia Forte aveva in tasca. È nero su bianco nelle carte dell'Antimafia, quando verbalizza le testimonianze degli esecutati nell'inchiesta denominata “Aste ok”, altro nome a cartone animato messo in testa a un sistema criminale dagli effetti devastanti nel tessuto sociale.

Ok cosa? Lady aste aveva la chiave del bagno privato dei giudici e dei dipendenti del tribunale: aspettiamo ancora di sapere il perché di quel privilegio e grazie a chi. Quando all'epoca abbiamo sollevato la riflessione sull'argomento siamo stati immediatamente ripresi dalla sezione locale dell'Anm.

Quella chiave in tasca a Livia Forte era il segno tangibile di un potere, un potere criminale, rispetto al quale anche all'interno del Tribunale qualcuno ha mostrato segni di debolezza. Davanti a un particolare così inquietante nessuno dovrebbe distrarsi.