Ha raccontato la sua esperienza di madre legata all’improvvisa perdita di suo figlio Carmine, ucciso nel fiore della vita da un’automobilista ubriaco alla guida mentre tutto gli sorrideva intorno, e come con il passare del tempo quel dolore così atroce sia diventato poi la sua forza fino a permetterle di andare oltre.
Una tragedia che nel marzo del 2003 sconvolse la città di Avellino
“Un’esperienza traumatica ma che nello stesso tempo mi ha insegnato a non odiare, a non cercare vendetta, ma a capire che da queste situazioni si può anche uscirne persone migliori.
Io dalla mia parte, forse rispetto ad altre mamme - racconta Francesca Genovese - ho avuto un vantaggio in più, l’età. Ero giovanissima, avevo 37 anni, quindi molte risorse in più per affrontare un dolore e una tragedia così grande. Ma certamente è stato un percorso lungo, doloroso. Non è stata una elaborazione facile. Non ho mai incontrato la persona che ha provocato la morte di mio figlio. Non so neppure che faccia abbia. Ricordo forse a stento il suo nome e il suo cognome ma non ho mai avuto un accanimento nei confronti questa persona, non ho mai voluto sapere chi fosse. Tutto questo per me è passato in secondo piano, perchè la cosa più grande era che mio figlio non c’era più.
Il carcere Campanello di Ariano Irpino non è solo violenza
Un momento particolarmente intenso, con spunti di riflessione interessanti quello che si è tenuto nel carcere Campanello di Ariano Irpino su un tema complesso e di grande attualità, la giustizia riparativa per certi versi non ancora compreso a pieno.
“E’ fondamentale - ha detto la direttrice del carcere di Ariano Irpino Maria Rosaria Casaburo, molto attenta a queste tematiche e attivamente impegnata in diversi progetti rieducativi con un team valido di collaboratori - ricordarci che la nostra missione, la nostra ragione sociale è il recupero. Il carcere, in quanto palestra di legalità, non può rimanere indietro anche rispetto agli avvenimenti normativi.”
Un confronto interessante che ha visto presenti fra gli altri il magistrato Giovanna Spinelli, la responsabile regionale dell'osservatorio carceri Giovanna Perna e il vescovo Sergio Melillo.
"La rieducazione - ha affermato Melillo - prevede anche un incontro tra vittima e carnefice. Un dialogo che apre nuovi squarci e che ci crea anche un modello utile per le nostre relazioni."
Un grande segnale di presenza soprattutto per i detenuti: "Un modo per far conoscere sempre di più - ha aggiunto Giovanna Perna - il centro di giustizia riparativa, mediazione e aiuto alle vittime di reato presente ad Avellino - e tutto questo oggi entra anche nel carcere, un tema, un nuovo paradigma che interesserà anche i detenuti ed in particolare nella fase esecutiva. Una sfida che riguarda quindi non solo noi operatori ma soprattutto la comunità e la collettività. Fare giustizia riparativa, significa coinvolgere oltre che l'autore del reato, la vittima, anche la comunità, protagonista per la prima volta di tutto ciò che accade all'interno e all'esterno del carcere."
Riannodare i fili dunque tra il mondo della reclusione e della società civile. Così il magistrato Giovanna Spinelli, sempre attivamente presente nel carcere Campanello.
"Un tema di grande attualità, anche se sappiamo tutti che il momento operativo è stato rinviato al 30 giugno. C'è un grosso investimento da parte del legislatore e del governo affinchè la giustizia riparativa possa non essere soltanto qualcosa di scritto, ma concretamente operare. Credo però che ci saranno molte difficoltà a livello logistico, ma mi auguro che possano essere superati facilmente. E' in ogni caso un ulteriore passo in avanti rispetto a quello che era già il significato della pena, come funzione rieducativa."
Il carcere che si apre sempre di più al mondo esterno
Presente in carcere anche la protezione civile flumerese con il presidente Francesco Giacobbe, in preparazione anche ad una serie di iniziative rivolte alla prevenzione che vedranno attivamente impegnati a breve i volontari al fianco dei detenuti. Una sinergia importante e particolarmente significativa fortemente voluta dalla direttrice Casaburo e la sua equipe.
Ci piace concludere con una frase di un detenuto che ha commosso la sala e gli stessi reclusi come lui: "Ogni volta che mangio, penso a quella persona che massacrai di botte con tutta la mia stazza fino a ridurlo in una condizione fisica estremamente precaria al tal punto da doversi nutrire con una cannuccia."