Violenza sessuale su due sorelline: 48 anni di carcere per mamma, nonno e zio

Dura la condanna del Tribunale di Avellino: 16 anni ognuno. Le vittime di 5 e un anno di Cervinara

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Avellino.  

Violenza sessuale su due bimbe di cinque e un anno: 48 anni di reclusione per mamma, nonno e zio (16 anni ad ognuno). Si chiude così il processo di primo grado a carico dei familiari di due piccole bimbe di Cervinara. 

Una pena decisamente più dura rispetto alla richiesta avanzata dal pubblico ministero di dodici, dieci e sette anni e sette mesi. La storia è venuta fuori nel 2020 dopo la denuncia della direttrice della casa-famiglia in cui le due bambine erano state collocate da circa un anno a causa della difficile situazione familiare in cui versavano. La donna raccontò che fu la sorellina maggiore a confidare proprio a lei, con dovizia di particolari, ciò che accadeva in quella palazzina tra le campagne di Cervinara. Descrisse una situazione non solo malsana, ma perversa, che coinvolgeva l’intero nucleo familiare.

Presenti questa mattina in aula anche i tre imputati, due dei quali – il nonno e lo zio – destinatari di misura di custodia cautelare in carcere. Durante la lunga discussione è stato ripercorso e analizzato, sia dal pubblico ministero che dai due avvocati difensori tutto l’iter processuale. Il collegio non ha però accolto la tesi difensiva che ruotava intorno al ruolo poco chiaro di questa direttrice della casa-famiglia descritta sia dai consulenti della procura che dagli stessi avvocati come una figura insolita, invadente e scomoda. Sarebbe stata proprio lei - secondo la difesa– ad aver in qualche modo suggestionato e influenzato i ricordi della minore, alterandoli.

Gli avvocati della difesa, Rolando Iorio e Pasquale Meccariello, infatti, hanno già fatto sapere che impugneranno la sentenza ricorrendo in Appello, al fine di rendere chiari alcuni punti cruciali per la tesi difensiva che, in sede di procedimento di primo grado, non sono emersi come avrebbero dovuto.

Resta ancora un mistero, ad esempio, il ruolo giocato dall’uomo misterioso che è stato menzionato da molti testimoni durante il processo. Una persona, ancora ad oggi irreperibile e probabilmente legato in qualche modo ad una delle operatrici della casa-famiglia, sosterrebbe la tesi secondo la quale la vicenda sarebbe stata del tutto alterata per favorire il giro di affari e denaro che ruota intorno alle strutture di accoglienza per minori abusati.