Terremoto Alto Calore: i numeri dell'inchiesta in 46 pagine

Tutti i dettagli dell'inchiesta che si è abbattuta sull'ente di Corso Europa, 16 inviti a dedurre.

Avellino.  

 

di Andrea Fantucchio 

«Gravissima sciatteria e disinteresse istituzionale». Così il viceprocuratore generale della Corte dei Conti, Ferruccio Capalbo, fotografa in quarantasei pagine poco più di undici anni di gestione di Alto Calore. Finito al centro di un'inchiesta che sta scuotendo le già provate fondamenta dell'ente che gestisce il servizio idrico per 125 comuni irpini e beneventani.

Migliaia di lettere restituite all'azienda per mancato recapito, ripetuti invii di diffide agli stessi indirizzi segnalati dalla posta come errati, errori nelle anagrafiche delle utenze, ripercorsi negli inviti a dedurre (Leggi «i nomi nell'inchiesta») recapitati a sindaci, dirigenti e un ex consigliere regionale, accusati di aver contribuito a un danno erariale di 11.856.797,63 euro. Per la procura «Appare privo di ogni giustificazione il perché si sia fatto ricorso solo per alcuni utenti morosi all'invio del sollecito», realizzando una ulteriore «scrematura» fra le diffide recapitate con posta con ricevuta di ritorno e quelle affidate alla corrispondenza ordinaria.

Nel 2008, si legge nel documento, «non risulta alcuna traccia documentale dell'esito dell'invio dei solleciti inoltrati agli utenti morosi» eppure la procedura risulterebbe «regolarmente avvenuta».

L'Acs (Alto Calore Servizi) per il 2009 e il 2010 – secondo il resoconto dei magistrati – ha poi dichiarato di «non avere inviato diffide con raccomandata». Dal 2004 al 2015 la percentuale delle letture effettuate in sei casi non supererebbe il 50 per cento e fra il 2012 e il 2013 neppure oltre il 30. 

Ma meglio delle parole è l'entità delle cifre contestate a stupire: un presunto danno erariale di 6.723.625,63, che deriverebbe dalla omessa riscossione dei canoni idrici, ai quali si aggiungono 5.133.172 che per la Procura sarebbero generati dalla «gravissima incapacità di riscossione dei propri crediti». Crediti non riscossi che – dal 2012 al 2016 – sarebbero ammontati a 57.145.851,366 euro. Una cifra da cinque a otto volte superiore alla quota di debito che viene fuori dai finanziamenti contratti con banche e altri istituti di credito.

Eppure, nel corso degli anni, i problemi col recupero crediti erano stati più volte sollevati. Nel 2006 si era rilevato che «il recupero delle morosità costituisce di fatto l'unica fonte per evitare ulteriori sofferenze economiche». L'anno successivo in una nota integrativa del bilancio viene evidenziato che si «provvederà a intensificare l'attività di riscossione dei crediti con l'utilizzo di procedure più efficaci, inclusa l'iscrizione a ruolo dei crediti, dopo l'adeguamento delle anagrafiche degli utenti».

Problemi che emergerebbero in parte «dalle difficoltà a effettuare le letture dei contatori nelle proprietà private e dalla carenza di personale addetto». Eppure la Procura mette a confronto 25 gestori del servizio idrico in Italia di dimensioni paragonabili ad Acs (per territorio e numero di utenti servizi e di valori della produzione). Cosa viene fuori? Il 42 per cento dei costi è rappresentato proprio dal personale, un 24 per cento superiore alla media delle altre realtà prese in considerazione.

«In termini assoluti – chiarisce il magistrato - il numero di dipendenti dell'Acs è secondo solo all'Acquedotto Lucano che però vanta un valore di produzione quasi doppio».