di Andrea Fantucchio
«Che io sappia Cava non ha mai chiesto soldi a quell'uomo che, per inciso, è un truffaldino. Ha ingannato anche "'o compagno mio". Una truffa di oltre 150mila euro». Il testimone ascoltato oggi, nel processo per tentata estorsione a carico di Antonio Cava, ha chiarito che mai in sua presenza si è parlato di un tentativo dell'imputato di riscuotere denaro con le minacce.
Dichiarazione che potrebbe rivelarsi decisiva per la difesa condotta dal penalista, Raffaele Bizzarro. Anche alla luce di quanto dichiarato dall'altro testimone escusso: il pentito Antonio Scibelli. Ha chiarito che «l'imputato non era finito coinvolto nel maxi-processo che ha decimato il clan Cava (l'imputato è nipote del boss deceduto, Biagio)».
Due testimonianze che, di fatto, hanno finito per “alleggerire” la posizione di Cava.
Come nasce il processo
La vicenda giudiziaria scaturisce dalla denuncia di un imprenditore, proprietario di una concessionaria, che sostiene che l'imputato l'abbia minacciato per riscuotere un prestito contratto con un'altra persona. La cifra al centro delle contestazioni è superiore a 150mila euro.
I testimoni:
L'udienza è iniziata intorno alle 12.30. Il collegio giudicante, presieduto dal giudice Luigi Buono, affiancato dai magistrati Giulio Argenio e Lorenzo Corona, ha deciso di invertire l'ordine dei testimoni in programma. Necessità nata dal bisogno di conoscere se le condanne a carico di Scibelli fossero tutte passate in giudicato. Questione poi confermata. Il pentito è stato così ascoltato come testimone assistito da un avvocato.
Prima di lui è toccato deporre a un altro uomo molto amico dell'imprenditore che, secondo la presunta vittima, avrebbe ingaggiato Cava per riscuotere il debito. Il teste ha chiesto di voler utilizzare anche il dialetto nella sua deposizione.
Il procuratore, Francesco Soviero, ha invitato il testimone a chiarire come c'entrasse nella vicenda al centro del processo. Quest'ultimo ha spiegato di lavorare da anni a Francoforte, in Germania, e di essere tornato in Italia, per problemi con la giustizia. In quel periodo un suo amico gli avrebbe chiesto di consegnare alcuni documenti a un imprenditore, proprietario di una concessionaria, con il quale in passato aveva fatto affari. Ma, ha aggiunto il testimone, ogni volta che si era recato dall'uomo non l'aveva mai trovato.
«Poi ho trovato al bar Antonio Cava. E gli ho chiesto il piacere di consegnarli per me. Lui ha acconsentito», ha raccontato il teste.
«Lei sapeva se Cava avesse avuto problemi con la giustizia», lo ha incalzato il pm.
«Dottò piano piano. Io queste cose non le so. Cava è un cognome che ho visto a volte sul giornale. Più di questo non so dirle», ha risposto il testimone. Poi ha spiegato di aver preso parte a un incontro fra l'amico che gli aveva chiesto il piacere di consegnare i documenti e l'imprenditore titolare della concessionaria.
«Diceva “chi mi avete mandato". Ma non ha mai fatto riferimento al fatto che Cava avrebbe preteso dei soldi». Ha raccontato.
La testimonianza del pentito:
E' toccato al pentito Scibelli deporre in videoconferenza dal luogo segreto dove si trova detenuto in regime di massima sicurezza.
Ha spiegato che Cava per vivere «costruiva palazzi», che era conosciuto col soprannome di «'o studente» e che «faceva affari con Biagio».
Il pm gli ha chiesto di chiarire se si trattasse di attività illegali. Scibelli ha risposto di non saperlo. E ha aggiunto che con Antonio Cava si conoscevano bene. Poi come detto, ha spiegato che l'imputato non era stato mai coinvolto nel maxiprocesso a numerosi esponenti del clan Cava.
Ascoltato Cava:
Infine è stato ascoltato l'imputato.
«Al bar un uomo che conoscevo di vista mi ha chiesto di consegnare alcune carte. Ho acconsentito. Perché il destinatario lavorava poco distante da dove avevo anche io l'attività. Ci eravamo incontrati diverse volte. Per questo mi sono sorpreso della sua reazione. Poco dopo che gli ho consegnato le carte, infatti, ha iniziato a urlare, aggiungendo “chiamo i carabinieri”. Ripeto: sono rimasto assolutamente sorpreso», ha spiegato Cava.
Poi, su richiesta del giudice Buono, ha chiarito di «non aver mai pronunciato le frasi minacciose che gli vengono contestate».
L'arringa del pm e la discussione della difesa sono state rinviate anche accogliendo quanto richiesto da Bizzarro. Ha spiegato come il denunciante sia coinvolto in un altro processo nel quale ha querelato altre persone per “tentata estorsione”. In quel procedimento, secondo la difesa, dalle sue dichiarazioni erano emerse alcune contraddizioni che proverebbero la sua scarsa attendibilità. Si torna in aula il 18 settembre.