di Andrea Fantucchio
Slitta al prossimo 20 marzo il processo per tentata estorsione a carico di Antonio Cava. Nipote di Biagio Cava, boss carismatico dell'omonimo clan di Quindici, che ha recentemente lasciato il penitenziario di Sassari per l'aggravarsi delle sue condizioni di salute. Dopo undici anni di 41 bis.
L'imputato è stato denunciato da un imprenditore del mandamento baianese. L'uomo avrebbe ricevuto un prestito da un amico. Quest'ultimo, non riuscendo ad avere la somma indietro, si sarebbe affidato a Cava per riscuotere il denaro.
Oggi doveva essere ascoltato il pentito, Antonio Scibelli. Collegato in videoconferenza, da un sito di massima sicurezza, con la Corte d'Assise di Avellino (Collegio giudicante: presidente Luigi Buono, a latere Paolo Cassano e Giulio Argenio).
Testimonianza rimandata a marzo per un difetto di notifica. Non era stata, infatti, comunicata la data dell'udienza odierna all'avvocato di Scibelli (Clelia Scioscia).
Proprio la testimonianza del collaboratore di giustizia è ritenuta fondamentale, dopo la deposizione dell'altro pentito, Aniello Cunzo. Secondo il quale, dopo l'arresto dei capi storici del clan quindicese (Biagio Cava e il fratello Antonio, più noto come “Ntò Ntò”), sarebbe stato proprio l'imputato a curare gli affari di famiglia, occupandosi di riscuotere delle tangenti.
Accuse sostenute dal pm della direzione distrettuale antimafia, Francesco Soviero. Alla difesa (avvocato Raffaele Bizzarro) il compito di smontare l'impianto accusatorio.