Nuotavamo alla Palata. Quando ad Atripalda avevamo il mare

Le famiglie non potevano permettersi il mare. Si andava al fiume. Racconti di bagni e pescate

Storie di un passato non troppo lontano. Fra mutandoni, gamberi e sogni. Prima che l'inquinamento rovinasse tutto.

Atripalda.  

 

di Andrea Fantucchio

“Una volta si imparava a nuotare fra le acque del fiume Sabato. I giovani atripaldesi, con tanto di costume a mutandone, si riunivano alla Palata o al Prosciutto. La prima, che si trova all'altezza della vecchia Asl, era una zona che aveva acque profonde anche quattro metri in alcuni punti, un vero mare. Mentre al Prosciutto, le acque ti arrivavano alla vita”. Racconta Maurizio De Vinco, ex vicesindaco e assessore all'ambiente di Atripalda, che ci aiuta a ricostruire uno spaccato di vita della provincia irpina: quando le famiglie per andare a mare, si recavano presso i fiumi o i corsi d'acqua. Quando l'inquinamento non esisteva.

“In passato – spiega Maurizio – in tanti avevano soldi per una vera vacanza. E non c'erano nemmeno troppe piscine, allora ci si adattava come si poteva. I nostri nonni ma anche genitori, andavano al fiume e si tuffavano. Per poi prendere il sole sulle coste. Era una vita più semplice, magari anche più dura, ma si respirava umanità autentica. E si viveva ancora a contatto con la natura”

Ma non solo balneazione, quando l'inquinamento ancora non esisteva, intorno ai corsi d'acqua si sviluppava anche parte della vita economica della comunità: “C'era chi nel Sabato pescava. Trote e altri pesci d'acqua dolce, certo, ma anche gamberi di fiume. Ricordo che ci svegliava il vociare del mercato, e un uomo con un carrettino che urlava: “Gamberi, gamberi!”. Li ho mangiati anche io, che buoni che erano quei gamberi”.

Oggi, ipotizzare pesca e balneazione, è impossibile. Il Sabato, come anche il Fenestrelle per restare in zona, è divenuto in molte punti una fogna. Raccoglitore di acqua piovana e scarti dei comuni attigui. Senza considerare i diserbanti provenienti dalle produzioni agricole.

“Una volta – racconta Maurizio – ma non devo ricordarlo certo io, chi possedeva un pezzettino di terra, non usava i diserbanti per pulire il terreno come oggi. Basta guardare l'area nei dintorni, dove non cresce più l'erba. E tanti di questi scarti, si riversano anche nel fiume. Non chiedo certo di fermare quelle attività, ma di tutelare la salute di tutti. Il lavoro è il motore di una comunità, ma senza vita non c'è nulla, nemmeno lavoro”.

Un'emergenza, quella dell'inquinamento causato da alcune attività agricole, segnalata anche da Pasquale Matarazzo, nell'area della Valle del Sabato (Leggi l'articolo e guarda le foto). Regolare le emissioni diffuse è essenziale, almeno quanto intensificare i controlli sul processo di produzione delle fabbriche.

“Oggi – racconta Maurizio – i tempi non consentono un ritorno integrale al passato. E' anche giusto così, il mondo cambia. Però ci accontenteremmo di avere analisi efficaci sul grado d'inquinamento del fiume. Se si diffondesse l'equazione Valle del Sabato uguale tumori, chi comprerebbe più i nostri prodotti? Si tratta di assicurare il futuro dei nostri figli, la sopravvivenza di un'intera comunità”.