Guido Dorso e Manlio Rossi-Doria si stimavano profondamente. Nonostante le differenze di temperamento e di metodo, mantennero per anni un confronto serrato, civile e appassionato. Dorso, l’avvocato irpino, portava con sé il carico di una generazione delusa dall’Unità d’Italia, innamorata dell’idea ma tradita nei fatti. Rossi-Doria, economista e riformatore napoletano, vedeva nella terra e nell’uomo del Sud non soltanto una vittima ma anche un protagonista potenziale dello sviluppo.
È questa la frattura fondamentale: Dorso osservava il Sud dal pulpito del pensiero politico, Rossi-Doria vi camminava dentro, tra i solchi della terra, nei campi dell’Agro Pontino, nella scuola di Portici, nei paesi del Cilento.
Le colpe delle élite: il pensiero dorsiano tra denuncia e impotenza
Per Dorso, il Mezzogiorno era ostaggio di una borghesia parassitaria, legata allo Stato centralista come una sanguisuga alla preda. La sua visione era intrisa di amarezza: accusava la classe dirigente meridionale di essersi venduta per un posto al sole nei palazzi romani. La “rivoluzione meridionale” di cui parlava era una rivoluzione morale, un moto interiore, un risveglio della coscienza civile prima ancora che un piano economico. Ma proprio qui risiede il limite profondo del suo pensiero: Dorso descrive il Sud come se fosse un corpo inerte, a cui servisse una redenzione mistica, quasi religiosa, piuttosto che una strategia concreta.
Le sue accuse alle élite sono giuste, eppure monocordi, lamentose, incapaci di trasformarsi in proposta. Si aggira attorno al problema senza mai scavare nelle cause materiali, nei vincoli reali, nelle relazioni economiche che inchiodano il Sud all’arretratezza. Una profezia civile, certo, ma impotente.
Rossi-Doria: la riforma come atto d’amore per il Sud
Rossi-Doria, invece, non predica. Agisce. Fa ricerca, organizza scuole, studia i metodi dell’agricoltura moderna, misura la povertà, ascolta i contadini. Per lui il problema del Sud non è morale ma strutturale. Il Sud è povero perché i suoi sistemi produttivi sono arretrati, le sue istituzioni deboli, le sue campagne abbandonate.
La riforma agraria, che Dorso considerava “illusoria” senza un cambio nelle coscienze, per Rossi-Doria è invece il punto di partenza. È convinto che solo redistribuendo la terra e investendo in formazione tecnica, credito, infrastrutture, si possa spezzare la spirale del sottosviluppo. Non c’è fatalismo nel suo sguardo, ma una volontà di intervento lucida e pragmatica.
E se Dorso condanna le classi dirigenti, Rossi-Doria cerca di formarle. Se Dorso denuncia, Rossi-Doria costruisce. Il suo approccio è quello di un agronomo che si fa pedagogo, e che non disdegna mai il confronto con la complessità. La sua attenzione per l'economia contadina, per le culture locali, per il valore del lavoro, è una lezione ancora viva.
La distanza tra visione e realtà
La differenza tra i due è netta. Dorso si muove sul terreno delle grandi visioni politiche, insegue una “democrazia meridionale” mai nata. Rossi-Doria, al contrario, cerca soluzioni reali e immediate. Scommette sull'istruzione tecnica, sulla partecipazione dei braccianti, sull'equilibrio tra riforma e sviluppo.
Il dorsismo, per quanto generoso e nobile, ha spesso alimentato una retorica del Sud come vittima eterna. Rossi-Doria rompe questo schema: per lui il Mezzogiorno può salvarsi se viene trattato come un insieme di problemi da risolvere, non come un destino da compiangere. La sua è una pedagogia dello sviluppo, radicata nella realtà dei luoghi, non nel mito del riscatto.
Due volti dello stesso amore
Eppure, in entrambi pulsa un amore viscerale per il Sud. L’uno, Dorso, innamorato di un Sud che avrebbe voluto libero e fiero. L’altro, Rossi-Doria, devoto a un Sud che voleva aiutare a diventarlo, passo dopo passo.
Fu un confronto leale, umano, a tratti doloroso. E forse proprio in questo dualismo si racchiude la lezione più preziosa: la denuncia è necessaria, ma senza azione resta sterile; la riforma è difficile, ma senza visione può diventare cieca.
Tra le parole di Dorso e i campi di Rossi-Doria, tra le ombre della sconfitta e la luce della possibilità, il Mezzogiorno continua ancora oggi a cercare la sua strada.