Si intende per ipoglicemia iatrogena il calo di concentrazione del glucosio nel sangue causato dall’uso di farmaci.
Il timore delle ipoglicemie è uno dei problemi maggiori nella vita di una persona diabetica quando la stessa è trattata con farmaci come l’insulina o i sulfamidici.
Le ipoglicemie sono classificate in funzione delle soglie glicemiche (70 mg/dl e 54 mg/dl) e dei livelli di gravità, rappresentati dai sintomi adrenergici che servono di allarme per le manifestazioni neurologiche più o meno severe. Anche se dette soglie sono oggetto di definizioni relativamente consensuali, variano comunque da una persona all’altra. L’età, la durata del diabete, il livello medio dell’esposizione cronica al glucosio possono modificare le soglie avvertite delle ipoglicemie.
ella pratica, una delle situazioni più inquietanti è quella che corrisponde alla sparizione dei sintomi adrenergici di allarme (ipoglicemie silenziose), e al passaggio diretto verso disturbi neurologici più o meno severi. Al di fuori dei sintomi immediati, le ipoglicemie, quando sono severe e ripetute, possono avere un impatto professionale (assenteismo per esempio), cardiovascolare con aumento della mortalità, psicologico quando si verificano di notte e quando determinano alterazioni del linguaggio (nel bambino), o delle capacità cognitive fino a disturbi gravi del tipo demenza, in particolare nell’anziano.
Prendiamo in esame le conseguenze cardiovascolari delle ipoglicemie. Le ipoglicemie, soprattutto quando sono severe, fanno correre il rischio di eventi cardiovascolari acuti. Lo stress ipoglicemico determina un’attivazione del sistema simpatico con scariche di catecolamine, una reazione infiammatoria, una disfunzione endoteliale, e un’attività dell’aggregazione piastrinica. Tutte queste modificazioni biologiche possono avere conseguenze cardiovascolari. Ci sono due tipi di complicazioni associate alle ipoglicemie severe, le micro-vascolari (retinopatia, nefropatia) e le macro-vascolari (infarto del miocardio, ictus cerebrale, arteriopatie ostruttive periferiche). La conseguenza è che, nel caso di pazienti cardiopatici che soffrono di ripetute e gravi crisi ipoglicemiche, la mortalità è aumentata dal 50 al 600%.