È un messaggio di speranza, una vera storia a lieto fine quella raccontata da Maria Giovanna De Venezia, 33 anni, finita nell’inferno del covid con la sua famiglia e da cui fortunatamente è riuscita a risalire. Maria Giovanna mai avrebbe immaginato di vivere l'esperienza della pandemia in prima persona. Sono rimasti tutti contagiati in casa. Nei primi giorni di aprile l’incubo è iniziato per la famiglia di Atripalda, dopo la positività accertata di un collega di suo padre Sabino, 61 anni.
“Papà decise subito di fare il tampone. Una volta avuto il responso abbiamo saputo che era risultato positivo e abbiamo subito provveduto a fare verifiche e accertamenti anche noi. Da allora il nostro inferno, il nostro personale calvario è iniziato”. Mentre racconta la sua storia, la voce di Maria Giovanna trema, nel ricordare le loro lunghe settimane di sofferenze. “Lo ricordo come fosse ieri. Il 10 aprile papà iniziò a sviluppare i sintomi più atroci dell’infezione da coronavirus - racconta Maria Giovanna -. La fame d’aria, la saturazione che improvvisamente calava, scendendo sotto i 90. Livelli da allerta rossa e così il 14 aprile si rese necessario il trasferimento in pronto soccorso al Moscati. “Da quel giorno la mia famiglia è letteralmente discesa in un inferno fatto di sofferenze, paure, ansie, terrore. "Solo grazie ai medici, sanitari, infermieri e operatori della Rianimazione-Area Covid del Moscati, guidati dal dottore Angelo Storti, siamo riusciti a superare l’emergenza. Non dimenticherò mai cosa hanno fatto tutti insieme: i medici della rianimazione del Moscati hanno letteralmente salvato la vita al mio papà. Non si può descrivere cosa significhi vedere un proprio caro soffrire per il coronavirus. Ricordo gli ultimi giorni di papà a casa - racconta -. I medici, che ci hanno tenuti sempre al corrente di ogni progresso di papà e anche di ogni fase critica, ci hanno spiegato che avvertiva dolori tali da non avere le forze neanche per lamentarsi”. La storia di Maria Giovanna riporta alla mente tante storie e dolori di tantissime famiglie alle prese con la pandemia, il suo volto più crudele.
“Dal 14 aprile iniziò la tragica sequenza di cure in emergenza per il mio papà - spiega -. Il 17 aprile provarono a curarlo assistendolo con occhialini e casco. Un dramma. Noi lontani e isolati, lui da solo in ospedale. Abbiamo capito che la situazione stava progressivamente e rapidamente peggiorando. Poi ci informarono che papà andava messo in coma farmacologico e intubato. Mio padre fino al 5 maggio non c’è stato. Non riesco a descrivere come si possa vivere una situazione simile, sapendo che la persona più cara al mondo c’è, è viva, ma in realtà è come se non ci fosse perché è incosciente. L’aspetto peggiore è che non si può assistere il proprio caro. Lo staff di psicologhe ha assistito lui e noi, in maniera incredibile”.
La storia di Sabino, per fortuna, è una storia a lieto fine. Il giorno prima del suo compleanno, il 4 maggio, Sabino è stato estubato. Pochi giorni fa completamente guarito dal covid è stato trasferito in una struttura per la terapia riabilitativa.
“Vorrei ringraziare uno ad uno tutte le decine di persone, che in silenzio e con grande professionalità, hanno assistito il mio papà. Si tratta di un esercito di persone che ci hanno permesso sempre di sapere e avere notizie dettagliate sulle sue condizioni. Una equipe incredibile. Ora aspettiamo dopo quasi due mesi di distanza di poterlo finalmente riabbracciare a casa nostra. Ma invito tutti a vivere con coscienza e senso di responsabilità questa estate perché finalmente la pandemia possa finire e nessuno più debba vivere tali sofferenze”.