Sono i simboli della devastazione ma anche della mancata ricostruzione. I “buchi neri” disseminati lungo la città di Avellino sono l'immagine plastica di come il terremoto del 23 novembre 1980 sia una ferita ancora aperta in Irpinia.
Palazzo Trevisani, il bar Fraps ma anche i vuoti urbani di via Francesco Tedesco e Viale Italia sono ancora lì a ricordarci come molto nel capoluogo e nella sua provincia non sia funzionato a dovere nella macchina della ricostruzione. Una politica scellerata che troppo spesso ha perseguito interessi di parte a discapito di quelli della comunità.
Tanti gli amministratori, da ultimo il sindaco Festa, che in questi 40 anni hanno promesso di restituire dignità allo skyline cittadino e al salotto buono della città ma sempre le parole non si sono concretizzate in fatti. Solo annunci che per ora lasciano lì davanti agli occhi di tutti quelle voragini. Vuoti architettonici e mancanze della politica che affondano le loro radici in quasi mezzo secolo di storia.
Il dibattito su come colmare quei vuoti e rigenerare urbanisticamente Avellino e'aperto ormai da tempo. Erminio Petecca, presidente dell' Ordine degli Architetti, è duro nell'affrontare la questione “Io in questo momento penso alle occasioni perdute da parte della nostra comunità e a quello che c'è ancora da fare. Le nostre riflessioni devono portare inevitabilmente a un mea culpa. Il sindaco Festa, esattamente un anno fa, a un nostro convegno si era impegnato a chiudere quei vuoti urbani, quei buchi neri.
Purtroppo a distanza di un anno non è successo ancora niente - prosegue Petecca - non veniamo coinvolti, così come sulla Dogana, il cui futuro è ancora un rebus e questo è un peccato. La nostra collega, l'assessore Buondonno, è da un po' di tempo che non la sento più. A loro dico: prima o poi usciremo dal Coronavirus e dovremo pensare a come rilanciare l'edilizia e con lei l'economia di un'intera provincia".
E poi la proposta. "Avere questi buchi neri è un danno ambientale che pesa su tutta la città. Se restano nelle mani dei privati loro hanno la grande opportunità di aggiungere alla 219 il valore premiante del superbonus. Altrimenti intervenga il Comune annettendo questi edifici alle proprietà comunali. A 40 anni di distanza dal sisma va fatto ancora tanto. Circa il 60% del nostro patrimonio edilizio va messo ancora in sicurezza. I terremoti possono ritornare, ci auguriamo il più tardi possibile, per cui urge investire sulla sicurezza. Si deve tendere verso un'urbanistica a consumo zero, verso una rigenerazione urbana. Cerchiamo di prenderci porzioni della nostra città preesistenti e vedere come riqualificarli anziché costruire nuovi alloggi”.