di Luciano Trapanese

Le scosse di terremoto che stanno colpendo l'Appennino centrale hanno ricordato a tutti che la Campania è una regione ad alto rischio sismico. Come al solito serve una emergenza per ricordarci della nostra emergenza. Che è costante e risaputa. Ma sulla quale non si fa nulla. Neppure di fronte ai disastri.

Questa è la mappa del rischio in Campania. Che è ben nota, soprattutto a quelli che hanno vissuto il catastrofico terremoto del 1980.

Sono 129 i comuni che vengono inseriti nella lista di quelli a elevata sismicità. Si trovano quasi tutti nelle province di Avellino, Benevento e Caserta. In particolare a ridosso delle zone appenniniche del Matese e dell'Irpinia.

I comuni a media sismicità sono 360 (zone pianeggianti e costiere di Napoli, Salerno e Caserta). Il rischio è invece ritenuto ridotto per il basso Cilento, la Costiera amalfitana e il litorale casertano.

Per Legambiente il 90 per cento degli edifici campani è stato costruito in aree potenzialmente a rischio elevato. In queste zone si trovano anche 4.608 edifici scolastici e 259 ospedali (in entrambi i casi l'88 per cento del totale).

I criteri per valutare la pericolosità sismica di un territorio si basano in particolare su un dato: la probabilità che un territorio venga interessato – nell'arco di 50 anni – da un evento sismico che superi una certa soglia di intensità e magnitudo.

Eppure, con un quadro del genere la Campania è ultima in Italia per i piano di protezione civile sulle emergenze. Ne possiede uno solo il 39 per cento dei comuni.

A tutto questo aggiungete un altro dato: la Campania è la regione dove sono state accertate più irregolarità nella costruzione degli edifici. In particolare per l'uso di cemento non a norma. Insomma: si costruisce male, violando la legge, e in una zona estremamente fragile.

Il guaio è che tutto questo neppure ci sorprende. Come se fosse naturale. Così come è stato naturale costruire alle falde di quel mostro apparentemente in sonno che è il Vesuvio.

In Irpinia e nel Sannio – che insistono su quella maledetta dorsale appenninica madre di tutti i terremoti -, i comuni sono stati in tutti questi anni come minimo superficiali. Ora che l'Italia centrale trema, e per una faglia che in qualche modo si collega a quella irpino-lucana, l'emozione fa ricordare a tutti che viviamo con inconsapevole leggerezza su una terra drammaticamente ballerina.

Ora si sono tutti svegliati da un illogico torpore. Anche i cittadini. Molti in questi anni hanno tentato di esorcizzare il ricordo del terremoto non parlandone. Ma a volte – come in questo caso – è meglio sollecitare quel timore, soprattutto se è l'unico modo per rendere più razionale, logica e per quanto possibile sicura, la nostra coesistenza con una natura in costante – e purtroppo pericoloso – movimento.