di Luciano Trapanese

Ma voi ci credete davvero? I parlamentari italiani voteranno per dimezzarsi lo stipendio? La proposta approda in assemblea la prossima settimana. E la discussione potrebbe regalarci momenti di amaro divertimento. Come ascoltare le ragioni di quanti – arrampicandosi ben oltre i consueti specchi - tenteranno di dimostrare che «no, non è possibile per un deputato o un senatore guadagnare meno di 10mila euro al mese più i consistenti rimborsi spesa». E del resto, nei mesi scorsi aveva già fatto discutere l'uscita del parlamentare di Sel, Arcangelo Sannicandro, un ex Pci duro e puro, che aveva sbottato, irritato dall'idea che gli alleggerissero lo stipendio: «Non siamo lavoratori subordinati dell'ultima categoria dei metalmeccanici». Alla faccia del comunista. Ma come? Si permettono di tagliarti la paga, come a un operaio qualsiasi? Giammai! E poi, caro signor Sannicandro: quando mai un metalmeccanico potrà guadagnare cinquemila euro al mese più i rimborsi (come sarebbe previsto dopo l'eventuale sforbiciata)?

La proposta di legge è stata avanzata dalla grillina Roberta Lombardi. Che fissa l'indennità dei parlamentari in 5mila euro lordi al mese per dodici mensilità. Un taglio che riguarda anche le indennità di diaria, e le fissa ad un massimo di 3mila e 500 euro. Indennità di diaria azzerata per deputati e senatori che abitano a Roma (e ci sembra puro buon senso). Cala anche il rimborso che copre le spese sostenute per l'esercizio di mandato, con un massimo di 3mila e 600 euro (cifra che però deve essere tutta meticolosamente documentata, oggi basta attestare il 50 per cento).

Insomma, nonostante il taglio, i nostri deputati non restano in mutande. Anzi. Continuano a guadagnare molto più del 95 per cento degli italiani. E più di tanti omologhi impegnati nei parlamenti europei. Per un Paese in crisi, ci sembra più che abbastanza. Sarebbe anche un buon esempio, per una volta. Per i metalmeccanici (citando il vecchio comunista), i precari, i disoccupati. E se vengono chiesti i rituali “sacrifici”, si saprebbe che anche loro, gli “eletti” (senza preferenze), hanno fatto la loro parte.

Che poi questo taglio comporti gli stessi risparmi dell'abolizione del Senato, non ci sorprende. E se a questi risparmi, si aggiungesse – in caso di sì al referendum -, anche il bye bye ad un ramo del parlamento, si potrebbero raggranellare euro in più euro in meno, 100 milioni annui. Risparmio che no, è chiaro, non risolverebbe il deficit del Paese, ma potrebbero – è un esempio - costituire un fondo per stanziare i progetti di decine di migliaia di giovani (e non solo). Soldi per start up (finanziamenti in parte a fondo perduto e in parte a tassi agevolati). Che darebbero uno spiraglio di speranza per quanti hanno voglia e determinazione per costruirsi un futuro.

Ma accadrà? Non si accettano scommesse, naturalmente. L'esito appare scontato: chi convincerà i nostri deputati a votarsi da soli il dimezzamento delle entrate? Dovranno comunque metterci la faccia e votare no. E raccontare al Paese che un parlamentare proprio non può fare il suo dovere senza 10mila euro di stipendio e altrettanto di spese (più il money che arriva dagli innumerevoli incarichi interni). In fondo, loro mica sono metalmeccanici...