di Luciano Trapanese

E' la giornata mondiale della povertà. Decine di anni fa il riferimento riguardava solo per una piccola parte i Paesi europei. Ora basta guardare sotto casa, recarsi a una mensa della Caritas, ascoltare i racconti di amici o vicini, per capire che quello spettro aleggia qui, accanto a noi. E se una volta la povertà era riconoscibile, oggi non lo è più. In tanti, quasi tutti, la nascondono con dignità. Sperando che il peggio passi, che uno spiraglio prima o poi gli riconsegni le certezze strappate da un lavoro che non c'è più. O che non si trova, se non a quattro soldi e nel perenne incubo di una precarietà selvaggia, senza rete, senza nessuna protezione sociale.

Un dramma che mette insieme generazioni diverse. Dagli esodati ai neodiplomati.

C'è un Paese in ginocchio, e nessuno sa bene cosa fare. Si ripropongo vecchie ricette, come se il mondo non fosse stato attraversato da una crisi economica senza precedenti. Come se la rivoluzione digitale non avesse modificato e per sempre il “sistema lavoro”. Come se – infine – la tanto evocata globalizzazione non avesse portato con sé insieme a qualche vantaggio una modifica sostanziale del mercato, rendendo le piccole e medie imprese incompatibili – senza innovazione - con una concorrenza agguerrita, affamata e a bassissimo prezzo.

La giornata mondiale della povertà porterà con sé tante belle parole. Qualche inevitabile j'accuse. Una carovana di frasi fatte. Un po' di commozione. Insopportabile fuffa.

Più passa il tempo e più diventa insopportabile. Racconta una propensione sconsiderata all'inazione come elemento di costante dibattito politico.

Lo sappiamo tutti, è cambiato il mondo. Le distanze sociali tra ricchi e poveri sono diventate estreme. E la classe media si è assottigliata velocemente, fino a confondersi con la fascia di persone al limite o sotto la soglia di povertà.

Ci arrendiamo? Alziamo bandiera bianca e accettiamo senza reagire l'inevitabile crollo “dell'impero occidentale”?

Direte: non dipende da noi, ma da chi governa questo Paese. Vero. In parte. Uno switch mentale serve a tutti, anche a noi. Anche a te. Immaginare di ricostruire quello che era, ritrovare esattamente il lavoro che s'è perso, mantenere intatto lo stesso tenore di vita, beh, questo forse non è possibile. Se accettiamo l'assunto che il mondo è cambiato, non possiamo poi far finta di nulla e pretendere di ricostruire esattamente quello che c'era. Non è facile, e i governi dovrebbero lavorare su questo. Le soluzioni non sono semplici, e impongono scelte radicali.

Facciamo un esempio. Una persona che conosciamo. Un insegnante di matematica. La “buona scuola” ha significato per lui l'esclusione dalla pubblica istruzione. Non si è dato per vinto. Canale Youtube: insegna la sua materia a migliaia di ragazzi sul web. Si è assicurato uno stipendio, e non dipende da nessuno.

C'è poi chi è ritornato alla terra (in modo “scientifico” e con un mercato aperto al mondo grazie a internet), chi all'artigianato (con le stesse modalità dei nuovi agricoltori), chi collabora – sempre in rete – con grandi aziende internazionali. Ma la lista è lunga.

Non è semplice, ma neppure impossibile. Oggi l'esempio sono le piccole produzioni di qualità (spesso inimitabili), che – sembra un paradosso – meglio affrontano le sfide del mercato globale. Dalle scarpe realizzate in un certo modo, a quella famosa azienda della Piana del Sele che vende una mozzarella straordinaria e che rifiuta di aumentare la produzione perché inevitabilmente scadrebbe la qualità.

Non è una ricetta contro la povertà. Lo sappiamo bene. Spesso non basta un'idea. Serve anche il supporto delle istituzioni. Governi, Regioni e Comuni. Ma anche delle associazioni di categoria. Però vorremmo riproporvi un piccolo esempio positivo. Quello del microcredito a Benevento. Un misterioso donatore ha regalato 400mila euro. Con quei soldi (grazie alla Caritas, all'Ente nazionale microcredito e alla Bcc di San Marco dei Cavoti), verranno aiutate 48 famiglie in difficoltà. Ma soprattutto – ed è questo che ci fa pensare positivo – garantirà la nascita di 74 nuove aziende, aiutando quanti non hanno accesso al credito bancario, e quindi soprattutto giovani che non hanno il supporto delle necessarie garanzie.

In questo caso servirà un'idea, un po' di creatività e tanta determinazione. Non tutte le 74 piccole aziende avranno un futuro? Probabile. Ma in fondo anche i ragazzi che hanno creato Spotify prima di sfondare sono andati incontro a diversi fallimenti. Ma non si sono arresi.