La Procura aveva chiesto per la seconda volta l'archiviazione, ma il gip Maria Ilaria Romano è stata di tutt'altro avviso. E, non condividendo, evidentemente, le conclusioni di una consulenza collegiale affidata dall'ufficio inquirente a tre specialisti - i professori Fernando Panarese, Giuseppe Spadaro e Carmine Morisco -, ha disposto l'imputazione coatta per una dottoressa. Un medico di famiglia, chiamato in causa per la morte di una 60enne di Moiano, avvenuta nella notte tra il 20 ed il 21 aprile del 2013. La decisione è stata adottata al termine della camera di consiglio fissata dopo l'ulteriore opposizione dei congiunti della vittima, rappresentati dall'avvocato Sergio Rando, alla scrittura della parola fine su un'inchiesta inizialmente diretta dal sostituto procuratore Maria Aversano, poi passata al collega Arturo De Stefano – entrambi non più in servizio a Benevento – e, infine, al pm Marilia Capitanio.
Un'indagine avviata dopo la denuncia dei parenti della donna, convinti che il decesso sia stato determinato da un infarto causato da uno choc anafilattico scatenato da un antibiotico che la dottoressa (ora è difesa dall'avvocato Vittorio Fucci) le avrebbe prescritto nonostante, a loro dire, fosse a conoscenza dell’intolleranza al principio attivo del farmaco.
Si tratta di una vicenda di cui Ottopagine ha già dato conto all'epoca della morte della paziente, registrata presso l'ospedale di Sant'Agata dei Goti. Dove la 60enne era arrivata d’urgenza per un malore che aveva accusato dopo aver assunto, per un problema ai denti che spesso la tormentava, una compressa di Augmentin. Inutile ogni soccorso, il suo cuore aveva cessato di battere per sempre. Infarto inferiore miocardico, choc anafilattico: questa la diagnosi dei medici, ai quali i familiari avevano riferito di un episodio accaduto a fine dicembre del 2012. Quando lei, per la solita odontalgia, aveva ingerito una compressa di ‘Amoxicillina e Acido clavulanico’ (farmaco generico dell’Augmentin) e si era sentita male. Era stata trasportata al Fatebenefratelli, dove le era stato accertato uno choc anafilattico da farmaco. Secondo i figli, una volta rientrata a casa, aveva informato il suo medico di base di ciò che le era capitato.
Poichè aveva nuovamente dolore ai denti, a febbraio era ritornata presso lo studio del sanitario, che le aveva prescritto l’Augmentin. Un antibiotico che aveva però utilizzato, visto che le sue condizioni erano nel frattempo migliorate, soltanto la sera del 20 aprile, allorchè la sintomatologia era ricomparsa. A seguire, la nuova crisi e il decesso. Una morte dovuta - si sostiene nella denuncia - ad una reazione allergica ai principi attivi dell’Augmentin: amoxicillina e acido clavulanico. Un farmaco che il medico, se davvero era a conoscenza dell’intolleranza della paziente, non avrebbe mai dovuto ordinare. L'indagine era sfociata in una prima proposta di archiviazione respinta dal gip, che nel luglio 2015 aveva ordinato altri sei mesi di attività investigativa. Di qui la consulenza stabilita dalla Procura, che aveva reiterato la richiesta sulla scorta delle valutazioni, in particolare, dell'allergologo e del cardiologo, che avevano escluso lo choc anafilattico, che avrebbe comportato una tachicardia (frequenza cardiaca accelerata) e non l'accertata bradicardia (ritmo cardiaco diminuito); sostenendo, dunque, che la morte era arrivata per un infarto. Il giudice non è però stato d'accordo ed ha disposto che il Pm formuli il capo di imputazione.
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