di elleti

Ha fatto discutere la suddivisione in quattro sigle degli italiani in Galles e in alcune zone della Gran Bretagna. Ci sono gli «Ita», italiani doc, gli «Itaa», gli altri italiani (?), gli «Itan», o meglio gli «italian neapoletan» e gli «Itas», ovvero gli italiani di Sicilia.

In tanti si sono scandalizzati. Hanno urlato, «discriminazione!», riproposto vecchie storie di emigrazione (i terroni trattati male dalla Padania a Berlino). Ma tutto potrebbe essere frutto di una bufala girata con insistenza in rete per un bel po' di tempo. Quella che definiva – a dire dei “condivisori folli” -, il napoletano la seconda lingua italiana e patrimonio dell'Unesco. Non è vero, naturalmente. L'Unesco cita sì il napoletano, ma per inserirlo nella lista delle 32 lingue in pericolo in Italia. E, oltretutto, il napoletano non può definirsi una lingua. E per tutta una serie di motivi ben descritti da Ciro Teodonno su “Il Mediano”. Non è una lingua perché «nessun nativo la sa scrivere in modo unanimemente riconosciuto, né è capace di produrre documenti ufficiali in quest’idioma. Non c’è una grammatica condivisa o conosciuta ai più e senz’altro oggi, per strada non si parla il Napoletano del Cortese e del Basile ma purtroppo neanche quello di Eduardo e Totò. Il Napoletano purtroppo non è una lingua perché ha perso una guerra, e mi riferisco a quella contro i Savoia. A Napoli, con l’avvento del Regno d’Italia, è stata imposta una nuova lingua, quella cosiddetta Toscana, la lingua scelta dal vincitore e che, col passare del tempo, si è sempre più diffusa influenzando notevolmente il Napoletano».

Insomma, non è la seconda lingua ufficiale della Penisola. Senza nessuna incertezza. Anche se abbiamo verificato come in rete – nonostante le smentite di Bufale.net e appunto Il Meridiano – la falsa notizia continua a circolare e a creare confusione. Sarà forse arrivata anche ai solerti gallesi che hanno pensato di suddividere gli italiani secondo i loro idiomi di origine (come se noi suddividessimo i britannici tra quelli che parlano gaelico a quelli che si esprimono in inglese, operando poi una ulteriore suddivisione a seconda dell'accento).

Voi sostenete che il Napoletano debba invece meritare – al pari del Catalano -, la possibilità di assurgere a lingua, magari, appunto, come seconda idioma del Paese?

La cosa ci lascia almeno perplessi. Anche perché, per restare nella sola Campania, non si può certo dire che il Napoletano sia in uso anche in Irpinia, nel Sannio o nel Cilento. E – come già detto – che quello parlato nello stesso capoluogo partenopeo sia simile a quello scritto e parlato da Eduardo e Basile. E' una lingua viva e quindi aperta a continue contaminazioni. Ma soprattutto non è una lingua scritta. E' più di un dialetto, questo sì. Ma meno di una lingua ufficiale. O no?