di Luciano Trapanese

Chi ha un po' di memoria storica lo sa bene. Per decenni, politici e governi si sono schiantati contro il muro di gomma della riforma costituzionale. Se ne parla dal 1960, quando la Carta era ancora giovane. La questione è poi entrata nell'agenda di governo negli anni '70. Un tentativo è franato nel 1985 (bicamerale Bozzi) e prima della famigerata bicamerale D'Alema (1997, poi «uccisa» - come si disse - da Berlusconi), ci ha provato anche Ciriaco De Mita, insieme a Nilde Iotti. Anche quella era una bicamerale. Anni 1993 – 1994. Obiettivo fallito. Per via giudiziaria. Come ha ricordato lo stesso De Mita al Corriere della Sera: «Non riuscimmo a portarla a termine. E' un discorso lungo. Ma ricordo che a un certo punto, quando eravamo al nodo giudiziario, arrivò un telegramma dalla Procura di Milano: era una diffida a proseguire».

Era il periodo di Mani pulite. Tangentopoli, avvisi di garanzia, dimissioni e monetine sui politici. La fine della Prima Repubblica. De Mita è stato l'ultimo dei big campani della politica a ricevere una informazione di garanzia. Erano già caduti De Lorenzo, Scotti, Conte, Cirino Pomicino. E insieme a loro tantissimi altri. Il 24 maggio del '93 anche il nome dell'ex presidente del Consiglio finì nel registro degli indagati. A Napoli. In un filone d'inchiesta legato al post terremoto. Il reato ipotizzato, «concorso in corruzione aggravata». Una questione clientelare. Assunzioni obbligatorie imposte ad un imprenditore. De Mita rinunciò all'immunità parlamentare e si mise a disposizione degli inquirenti per chiarire la sua posizione.

Ma era uno scontro aperto. Magistratura contro politica. Uno scenario che, in altri termini e con altre modalità, si sarebbe poi irrimediabilmente riproposto anche nel ventennio berlusconiano. Una frattura mai rimarginata tra poteri dello Stato. Che ha prodotto e continua a produrre distorsioni evidenti (come le inchieste e le recenti assoluzioni di De Luca, Marino e Cota).

Ma cosa prevedeva quella riforma costituzionale, e vi sembra più logica di quella proposta da Renzi? Cerchiamo di capire. Sicuramente si innestava nel solco della Prima repubblica. E aveva come punto fisso una legge elettorale proporzionale.

Prima delle dimissioni, De Mita portò avanti il lavoro, poi proseguito da Nilde Iotti.

Le assonanze dirette della riforma richiamavano il sistema tedesco. Il primo ministro veniva eletto dal Parlamento in seduta comune e a maggioranza assoluta (naturalmente nessuna soppressione del Senato). Le candidature dovevano essere sottoscritte da almeno un terzo dei componenti dell'Assemblea. Se entro un mese non si arrivava all'elezione del premier interveniva il presidente della Repubblica a designarlo. In caso contrario, scioglimento delle Camere e ritorno alle urne. Nella riforma era prevista l'incompatibilità tra le cariche di ministro e vice ministro e il mandato parlamentare. Il governo poteva essere sfiduciato con una mozione votata a maggioranza. Per evitare un uso strumentale delle dimissioni da parte del premier era prevista la non immediata rieleggibilità del primo ministro dimissionario.

Nella riforma De Mita – Iotti era anche inserita una revisione piuttosto ampia del riparto tra le competenze statali e regionali.

Non proprio una rivoluzione, dunque. Ma una modifica che si inseriva nel contesto tipico della prima Repubblica. E prima cioè che i leaderismi, e l'apologia dell'uomo solo al comando avessero il sopravvento. Prima anche – è giusto ricordarlo – che il dibattito politico si limitasse ad una lunga serie di azzeccati slogan da snocciolare con enfasi e con una abilità dialettica da politica 2.0.

Non vogliamo dire che si stava meglio prima. Anzi. Le revisioni nostalgiche del passato sono un esercizio di stile stucchevole. Ma di certo le contrapposizioni si esprimevano per argomenti e non sulla base di battute e insulti. E questo, almeno questo, manca e molto al Paese. Oggi si discute di pancia alla pancia. Immaginando che tutti gli elettori siano degli acritici tifosi e non cittadini partecipi e coscienti.

Quella Riforma comunque s'infranse contro Mani pulite. Si frantumò insieme a buona parte della classe dirigente, dando poi il via alla stagione di Berlusconi.

La riforma venne presentata l'undici gennaio del 1994 alla presidenza delle due Camere. Accantonata cinque giorni dopo, quando la legislatura venne sciolta in anticipo.

Il 15 luglio dello stesso anno la proposta di revisione venne di nuovo esaminata. Si approvò un testo, poi trasmesso il 21 dicembre al presidente del Consiglio. Che si è dimesso il giorno dopo. Fine della storia.