Mangia poco o niente, spesso rifiuta il cibo. Per questo è necessario praticargli delle flebo. E' prostrato, ma non potrebbe essere diversamente con il peso che si porta dietro ed è destinato ad accompagnarlo fino alla fine dei suoi giorni. Ne sono trascorsi tredici da quando Luigi Piacquadio, 72 anni, di Montesarchio, segretario comunale in pensione, ha ucciso il figlio. Domenico aveva 38 anni ed era disabile dalla nascita. Quella mattina dello scorso 10 settembre lui lo aveva colpito con una coltellata, poi aveva cercato di chiudere i conti anche con la sua esistenza. Che, ora, si trascina al pensiero di ciò che è successo. Non è possibile cancellarlo con una gomma. Impossibile rimuovere un gesto dettato da un tormento diventato un'osssessione.
Lo aveva confessato al sostituto procuratore Iolanda Gaudino ed ai carabinieri che lo avevano arrestato. La paura di ciò che sarebbe capitato al figlio una volta rimasto solo, lo aveva divorato. Era terrorizzato dall'idea che, senza di lui, potesse diventare preda di mani sbagliate e non amorevoli. Per questo si era convinto che quella tragica scelta, che avrebbe dovuto contemplare anche la sua morte, sarebbe stata la soluzione. “Così tutti sarebbero stati più tranquilli...”..
Luigi è ancora ospite del reparto sanitario del carcere di contrada Capodimonte, dove è vigilato e seguito costantemente. L'avvocato Claudio Barbato, che lo difende, lo ha incontrato anche questa mattina. L'attenzione è puntata sull'individuazione di una struttura nella quale trasferirlo - lui non vuole tornare a casa- per assicurargli le cure del caso. Ne ha bisogno, Luigi. Ha bisogno, soprattutto, di un supporto psicologico, di sentire la vicinanza degli altri. Anche il parroco che aveva celebrato i funerali di Domenico, lo aveva sottolineato. Attende di potergli fare visita, di potergli parlare. Per cercare di aiutarlo ad uscire dalla condizione nella quale è precipitato. Era disperato prima, lo è ancor di più adesso.
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