Benevento

"La cultura letteraria e morale di Vittorino cammina insieme al suo sapere politico. Sono venuto per fare un comizio sulle proposte del Pci ma il comizio lo ha fatto, con ogni particolare, il vostro concittadino Vittorino Villani”. Furono queste le parole pronunciate dall’allora segretario generale del Partito Comunista Palmiro Togliatti durante un comizio del 1948, svoltosi a Piazza Roma, Benevento. Prima di lui infatti parlò Vittorino Villani, il barbiere di Apice, eletto deputato con il Pci sia nel ’53 che nel ’63.

 

Ricordare Vittorino Villani, ieri ricorreva il centenario della nascita, significa parlare di quegli uomini che formarono i primi nuclei antifascisti nella provincia di Benevento, che si batterono per migliorare le condizioni di lavoro della classe contadina, sfruttata e ai limiti della sopravvivenza, fino a portare in parlamento proposte di legge che riformarono, all’epoca, l’agricoltura italiana. La storia di Vittorino Villani nasce ad Apice e a raccontare gli inizi di questo comunista “dal volto umano” è il maestro Saverio Gubitosi.

 

Vittorino Villani nacque il 21 marzo 1915, di domenica. Il padre Michele, provetto muratore, e la madre Angelina Bozzi, casalinga, festeggiano quel giorno di inizio della primavera con la nascita di una nuova vita, il settimo e ultimo figlio di cui era composta la famiglia Villani. Ben presto però la gioia di quella allegra e prosperosa prole si tramutò in amarezza. Infatti, la morte del padre colse alla sprovvista tutta quella figliolanza ancora in tenera età. Il primo dei figli maschi, Giuseppe, aveva soltanto tredici anni, mentre Vittorio, l’ultimo ne aveva soltanto tre: tutte bocche da sfamare.

 

La famiglia intera cadde allora nelle ristrettezze. Cominciarono perciò i tempi duri per loro. La madre, tuttavia, donna solerte e premurosa, non si perse d’animo e trovò la via per risollevare le sorti della famiglia. Prelevò, così, un rudere abbandonato su un poggio prospiciente il paese e vi impiantò una fornace. Cominciò così a cuocere mattoni coadiuvata da tutti i figli ai quali seppe trasmettere con l’esempio e con la devozione assidua che il lavoro è crescita, è benessere, è dignità ed è indipendenza.

 

I figli, pertanto, trovandosi quasi tutti in età scolare non abbandonarono gli studi, per cui la mattina andavano a scuola e di pomeriggio, dopo aver consumato un pranzo frugale, si recavano subito di corsa sul poggio dove c’era la fornace, subito a lavorare e a far mattoni, sia per aiutare la mamma in quel duro lavoro, sia per guadagnarsi il pane quotidiano. Le prima due figlie, Lucia e Felicetta, essendo donne e maggiorenni rispetto a tutti gli altri figli maschi, fin dai primi tempi furono impegnate a tempo pieno nel duro lavoro della fornace, dall’alba fino a sera inoltrata, quando tutta la famiglia stanca ritornava a casa per il meritato riposo. Certo era però che il lavoro della fornace non produceva adeguato benessere per l’intera famiglia, per cui si rese necessario che i primi due figli maschi, Giuseppe e Antonio, rispettivamente di 13 e 11 anni venissero avviati ad un lavoro diverso e salariato. Ben presto perciò i due iniziarono a lavorare come aiutanti muratori con alcuni artigiani del posto, lavoro nel quale Giuseppe e Antonio quali veri figli d’arte cominciarono subito ad eccellere, perfino a superare in capacità e perizia i loro stessi maestri. Giunse poi il momento per loro di lavorare in proprio.

 

Fu così che il tenore di vita cominciò a migliorare per l’intera famiglia, che intanto superava se non altro lo stato di inedia che precedentemente l’aveva costretta a saltare qualche pasto giornaliero. Intanto anche per il terzo figlio maschio Mario, completata la terza classe elementare, che era a quei tempi la classe finale dell’intero corso scolastico allora esistente nei paesi, cominciò il periodo di apprendistato presso varie botteghe artigiane del posto, soprattutto presso una barberia, quella di Don Silvio, persona però già anziana di età prossima a chiudere bottega.

 

Successivamente anche per il quarto figlio maschio Generoso arrivò il tempo che conseguita la terza classe elementare, cominciasse a lavorare come apprendista muratore, con i fratelli Giuseppe e Antonio, Vittorino, giunto all’età scolare, fu avviato anche lui a seguire la routine del corso scolastico fino alla terza classe elementare. Per lui, però, dotato di intelligenza superiore alla media, di vivacità mentale e di ingegno perspicace, non erano sufficienti le poche e ridotte nozioni scolastiche di quel tempo, né potevano bastare quelle che venivano trasmesse da un ambiente paesano assai povero di stimoli culturali e condannato all’arretratezza perché sottomesso alla volontà di una casta privilegiata e dispotica, sempre distaccata da ogni contesto sociale, per cui dopo la giornata scolastica, seppur costretto dalle necessità familiari a lavorare presso la fornace di mattoni in aiuto della mamma e delle sorelle, si dedicava diligentemente alla lettura dei libri sotto la fioca luce che emanava emanata da un lucignolo di terracotta. Leggeva soprattutto libri di autori appartenenti all’Illuminismo francese e a quelli di autori appartenenti al Romanticismo italiano, francese, russo e tedesco.

 

Libri che fotografavano assai bene i contrasti sociali e le conflittualità stridenti tra le differenti classi, traendo da essi utili insegnamenti, stimoli politici e culturali, ma soprattutto impulsi e impegni morali finalizzati alla lotta e alla partecipazione in prima persona per il cambiamento di quelle strutture e impalcature sociali degenerate e corrotte. Gli stimoli che Vittorini Villani traeva dalla lettura venivano corroborati dai discorsi che quotidianamente si verificavano nella sartoria di un suo parente, Antonio Gubitosi, classe 1898, reduce della prima guerra mondiale che in seguito, dopo la caduta del Fascismo fu primo sindaco di Apice (Antonio Gubitosi era il padre della voce narrante, il maestro Saverio Gubitosi).

 

Infatti, nella bottega del Gubitosi, si riuniva un buon numero di persone di diverso orientamento politico, ma tutti animati da una sola fede e da un unico desiderio: libertà e democrazia. E’ doveroso nominarle non solo per la loro dignità di uomini liberi, ma perché essi rappresentavano il primo nucleo antifascista che operava in provincia di Benevento e precisamente in Apice: Antonio Gubitosi, Giliante Lombardi, Nicola Montenigro senior, Vincenzo Montenigro, Vincenzo Cecere, avvocato Tito Giangregorio, professore Oreste Spada, Ferdinando Iarrusso, Michele Masuccio, Sebastiano Giangregorio, Edoardo Giangregorio, Salvatore Iacoviello, Felice Russo, Vincenzino Gubitosi, Esiodo Pecce, e successivamente di mano in mano tutti i fratelli Villani e anche molte donne.

 

In mezzo a loro Vittorino non solo accrebbe la sua cultura politica, ma soprattutto ricevette lo stimolo a lottare a favore delle classi operaie sfruttate dai padroni, a lottare al fianco dei braccianti il cui lavoro era neppure sufficiente alla sopravvivenza, a lottare a favore dei contadini costretti dai feudatari a uno stato di arretratezza e di analfabetismo strumentale e spirituale, al fianco dei lavoratori tutti e delle donne sotto salariate e senza diritto alcuno. Attraverso il crogiolo di tali considerazioni e delle sue letture, in Vittorino si consolidò sempre più nella sua mente il desiderio di passare dal pensiero all’azione, per cui iniziò con sagacia ad insegnare alle folle che l’uomo è deve essere un essere libero da ogni vincolo che opprima e soffochi la sua libertà di pensare e di capire che il suo diritto a vivere civile e dignitoso appartiene a tutti, così come il diritto allo studio e al giusto salario appartiene ad ogni uomo. Egli andava insegnando a tutti con l’esempio e con la sua parola suadente che bisogna vivere ed operare sempre con onestà, con laboriosità, con rispetto reciproco, con gentilezza, con comprensione e con grande umanità affinché si possa assurgere a dignità di uomo. Fu un comunista.

 

Ma il suo comunismo fu un comunismo dal volto umano. Egli diceva che per ottenere dignità bisognava convincere ed educare l’uomo ai valori testé citati perché nulla si può ottenere con la costrizione. Un suo motto assai ricorrente era quello che “un buon maestro non obbliga, ma esorta. Un buon maestro vive con dignità ed insegna con l’esempio”. La guerra e la carriera politica Chiamato alle armi nel 1940, Vittorino Villani parte per il fronte albanese, partecipando ad una inutile guerra.

 

Tra i commilitoni, pur condividendo continui pericoli, trova il tempo per fare propaganda contro il regime. Denunziato da qualche delatore, riuscirà a salvarsi con l’intervento di un Capitano fedele al Re ma non a Mussolini, che lo aiuta a tornare in Italia, ottenendo un congedo straordinario per assistere la madre malata. Trovandosi ad Apice l’8 settembre 1943 con la firma dell’armistizio, ritorna al suo lavoro e con rafforzato impegno politico inizia a collaborare con la federazione Comunista di Benevento.

 

Tra le sue iniziative, organizza nel Fortore la “marcia della fame” denunziando lo stato di una categoria quasi al limite della sopravvivenza. La sua azione continua e pressante si sposta nelle sedi legislative, con gli innumerevoli studi e le proposte presentate, gli interventi capillari presso il Ministero dell’Agricoltura, porteranno all’approvazione della Legge stralcio numero 841 del 1950, sulla riforma agraria, i cui effetti risulteranno i più importanti e sconvolgenti del dopoguerra, anche perché prevedeva l’assegnazione di terreni ai braccianti. Nelle sue continue battaglie in difesa dei fittavoli, non tralascia lo studio e da privatista consegue il diploma di scuola superiore.

 

Il Partito Comunista Italiano, nel 1953, candida alla Camera dei deputati Vittorino Villani nella circoscrizione Benevento-Avellino-Salerno e risulta eletto con 15.436 preferenze. Da deputato continua ad interessarsi del settore agricolo, individuando particolari situazioni rimaste ancora insolute, per le quali ne sollecita l’adozione di urgenti provvedimenti. Ricandidato alla Camera nel 1963, Villani sarà eletto con 18.508 preferenze e anche in questa seconda esperienza parlamentare guarda all’agricoltura, presentando diversi disegni di legge (primo firmatario) sulla valorizzazione del tabacco beneventano “Kentucky”. Al termine del mandato parlamentare si trasferisce a Roma, occupando la presidenza del Consorzio Nazionale dei Tabacchicoltori, e più volte sarà convocato dalla Commissione Europea nella qualità di esperto nel settore. Considerato un uomo del futuro, Vittorino Villani morirà il 10 agosto 2007.

di Michele Intorcia