Tiziana icona involontaria del web. Tiziana si è tolta la vita a causa di quel filmino privato diventato popolare e virale, ipotizzano gli inquirenti. Tiziana voleva essere dimenticata, ma quei video privati le avevano reso la vita impossibile.
Dopo il suicidio della 31enne l'inchiesta muove passi nuovi verso l'individuazione di responsabilità. Sotto sequestro telefoni cellulari e computer, alla ricerca di tracce del passaggio dei video. La procura di Napoli nord accelera i tempi dell'indagine per istigazione al suicidio e chiude il cerchio attorno a una lista di nomi entrati a pieno titolo in alcuni verbali acquisiti al fascicolo curato direttamente dal procuratore Francesco Greco e dal sostituto Rossana Esposito.
La procura indaga sul caso della 31enne morta per suicidio, dopo essere finita al centro di uno scandalo per dei video privati diventati virali sulla rete. Sono stati sequestrati due computer e una decina di iPhone. Mezzi informatici utilizzati per lo più dall'ex fidanzato di Tiziana. Un imprenditore con il quale la giovane per un breve periodo ha anche convissuto.
Intanto è caccia a chi ha messo in Rete i filmati. I carabinieri hanno chiesto all’ex fidanzato di consegnare telefoni cellulari, computer e qualunque altro supporto informatico in suo possesso.
Indagini ad ampio raggio, dunque, anche sul traffico di gadget con sopra impressa la frase pronunciata da Tiziana durante un rapporto sessuale filmato e messo in rete.
Whatsapp, chat, sms, email, foto custodite sulla memoria: i magistrati cercheranno di capire se coloro che al tempo furono denunciati, accusati di aver diffuso materiali – immagini e filmati hard – privati, destinati a una ristrettissima cerchia di persone, ebbero davvero il decisivo ruolo di dare in pasto al web la vita privata di Tiziana.
Non solo: la procura della Repubblica ora approfondirà anche la posizione di coloro i quali cinicamente si fiondarono sul ‘business' e iniziarono a vendere sul web gadget con la frase-tormentone.
In Procura a Napoli il secondo procedimento nei confronti di quattro indagati per diffamazione di Tiziana va, dopo un anno, verso la chiusura. Nella disperata e inutile battaglia per ottenere la rimozione dei video hard, Tiziana aveva scoperto che giganti come Facebook e Google, indicizzavano link che rimandavano ai suoi filmati. Si era rivolta alla giustizia nel tentativo di fermare il flusso alla fonte. Ma dove sfociavano quelle migliaia di link? Milioni di click. Milioni di persone collegate alla rete che guardavo quelle immagini. E poi i gadget e tutto il resto. Un vero e proprio mercato intorno alla disperazione di una persona.