Avellino

Quasi quattromila volumi per tracciare un percorso di studi e formazione nel segno dell’Irpinia, la sua Irpinia. Ieri mattina Nicola Mancino ha formalizzato la donazione alla comunità irpina, un gesto che arricchisce il già vastissimo patrimonio della biblioteca provinciale. Al politico di Montefalcione sono state intitolate due sale della biblioteca, quelle che ospiteranno i libri donati. La cerimonia, con la firma del protocollo, si è svolta davanti a cittadini, amministratori ed autorità.

 

Poi spazio al dibattito con il sindaco di Avellino, Paolo Foti, e il Presidente della Provincia, Domenico Gambacorta. Il primo cittadino ha tratteggiato l’impegno politico dell’ex presidente del Senato. «Mancino ha regalato a questa città e a questa provincia una grande lezione di stile e di alta politica. Il suo gesto certifica l’amore sconfinato nei confronti di Avellino». Guarda ai giovani Gambacorta. «E’ una donazione importante che deve diventare occasione di studio e ricerca per le nuove generazioni, chiamate a recuperare la trama di un pensiero alto, importante, di cui spesso di avverte la mancanza. E’ un gesto di grande sensibilità ed attenzione per il territorio».

 

Mancino si è soffermato sulla crisi delle istituzioni ed il ruolo delle Province «un ente che avrebbe tutte le ragioni per continuare ad esistere, per esercitare quel ruolo di raccordo e coordinamento sul territorio». Una crisi che Mancino lega alle difficoltà della politica a farsi voce e pensiero condivisi. Il suo sguardo è rivolto alle nuove generazioni, sollecitate ad andare oltre la tecnologia, a riscoprire il valore dello studio e della ricerca.

 

«Viviamo nel tempo del web e degli smartphone ed i nostri ragazzi sono disabituati alla fatica della ricerca e al fascino della lettura. La mia donazione è soprattutto per loro, qui c’è tutta la storia del pensiero contemporaneo, della nostra democrazia, dalla Resistenza alla Liberazione, dal boom economico agli eccessi della globalizzazione che ci ha trascinato in un crisi di valori, oltre che economia». La sua analisi affonda le radici nel 1994, l’anno della discesa in campo di Berlusconi. «L’idea che la politica si possa risolvere nel carisma di un leader, di un uomo solo al comando, è un aberrazione alla quale ci siamo piegati. Servono sempre la condivisione ed il confronto, anche aspro. I giovani non devono allontanarsi dalla politica perché cambiare non solo è necessario, ma è possibile».

 

I giovani e la politica. «Mi chiedo perché dovrebbero interessarsi della politica, se la politica segue percorsi lontani. La politica deve tornare a parlare ai giovani senza supponenza. Il futuro - aggiunge - è nelle mani delle nuove generazioni, un futuro difficile immaginare ma che dovrà tendere ad una riscoperta del pensiero. Spero che il mio gesto serva ad indicare una traccia.». A margine dell’incontro qualche battuta sulle primarie. «Si sono protratte un po’ troppo, perdendo forse di credibilità. Capisco l’importanza di allargare la partecipazione, ma...». Qualche dubbio anche sulle modalità di voto. «Renderle così accessibili forse svilisce il significato della militanza e di chi sottoscrive la tessera».

 

di Marco Grasso