Montesarchio

Come si fa a non provare pietà non solo per quel corpo martoriato nascosto da un telo, ma anche per quell'uomo schiacciato dal peso della responsabilità di aver ucciso il figlio disabile? Soltanto quando si verificano tragedie come quelle di Montesarchio, ci si rende conto, almeno sull'onda dell'emotività, di quanto dolore siano piene le case di chi ha un familiare con il quale il destino non è stato generoso.

Storie che spuntano ad ogni angolo di strada, raccontano di padri e madri che hanno piegato la loro esistenza, ogni giorno, ogni minuto, alla cura della persona più debole. Che ha bisogno di mille attenzioni, di sentirsi avvolta dalla solidarietà. Situazioni difficilissime, che molto spesso, in particolare nei casi più gravi, finiscono con il restare per sempre confinate nel limbo del privato e basta. Segnano profondamente chi le vive nel trascorrere del tempo. Tormentandosi al pensiero del futuro che attende quel ragazzino, non autosufficiente, con un gravissimo handicap, che man mano diventa un uomo.

Non è solo un problema di soldi, di mezzi di sostentamento, di reti assistenziali che funzionano a singhiozzo. A far paura è l'idea, insopportabile, del modo in cui il mondo esterno lo tratterà quando resterà solo. E' soprattutto il timore che nessuno possa più riservare al proprio figlio l'amore di cui ha goduto, che potrebbe spiegare, forse, perchè un genitore, in un momento di profondo sconforto, ancor più forte quando l'età è avanzata, decida di stroncarne l'esistenza. Dopo avergli dedicato ogni sforzo. Come ha sempre fatto Luigi con il suo Domenico. Le cronache ipotizzano che non ce la facesse più a vederlo soffrire. Forse una lite, chissà. Luigi ha affondato una lama nella carne della sua carne, poi ha cercato di farla finita. Una vita spezzata, un'altra che da ora si trascinerà nel buio della colpa.

Esp

(foto tratta dal web)