Atripalda

«Difficile è descrivere il misto di emozioni che in quel momento mi assalirono. Certo, erano sentimenti negativi. Il caos mi scombussolò. Era un deserto. Un deserto pieno di macerie. Agghiacciante».

Imprevedibile. Irrefrenabile. Devastante. Non c'è dubbio. La forza della natura.

Talvolta provoca danni. Danni irreparabili. Danni permanenti nel tempo. Forse per anni e anni. Chissà.

L'Irpinia ne è stata protagonista negli anni Ottanta. Purtroppo la ruota gira. Anno 2016. Tocca ad Amatrice, città del Lazio. Terremoto brutale. Una forza distruttrice. Città in polvere. Macerie ovunque. Si salvi chi può.

Indispensabile l'aiuto altrui. Immediato il soccorso dei servizi civili. Eppure, nulla è valso quanto l'aiuto di volontari. Gente qualsiasi. Gente inesperta. Adulti, anziani. Ma soprattutto adolescenti.

Insomma, una gioventù combattiva. Finalmente. Angelo Berardino, diciassettenne di Manocalzati. Esempio calzante. Partito per Amatrice.

«Sono sempre stato il tipico adolescente - comincia a raccontare -. Amavo uscire ogni sera con gli amici. Feste e aperitivi onnipresenti. Del resto, cose normali. Cose che oggi ritengo frivole».

E' la fine del mese di maggio. Un qualcosa spinge Angelo a iscriversi alla "Misericordia" di Atripalda. «Alcuni dei miei compagni lavoravano nella "Misericordia". Mi attirava l'essere socialmente utile. Così un bisogno interiore mi spinse a prenderne parte. Ero determinato. Volevo aiutare il prossimo», afferma.

Il desiderio non tarda ad arrivare. Sfortunatamente. Mese di agosto. Una triste realtà si abbatte nel reatino. Violente scosse di terremoto hanno distrutto intere città. L'epicentro è Amatrice.

La "Misericordia" di Atripalda decide di agire. Avellino e provincia si mettono all'opera. Il forum dei giovani organizza una raccolta di beni da spedire. Raccolta di cibo, vestiti e del minimo indispensabile. Milioni di pacchi sono pronti. Servono però persone disposte a prestare servizio di volontariato lì. Dove tutto sembra perduto. Angelo non ci pensa due volte. Sarà lui ad andare. «Mi offrii volontario. Ero felice di poter strappare un sorriso a chi motivo di sorridere non ne aveva. Decisi di partire con altri tre ragazzi. A breve sarei stato un paladino della giustizia».

Domenica 28 agosto. Ore sette del pomeriggio. Partenza. Direzione Sant'Angelo di Amatrice. Una frazione dell'epicentro. «Ero entusiasta. Il sol pensiero di agevolare la situazione di tanti sfollati, mi appagava - continua -. Il viaggio durò circa sette ore. Arrivammo alle due di notte. Eravamo stanchi», dice.

Il camion si ferma. I volontari mettono piede in un dolore straziante. Pochi attimi. La stanchezza cede il posto alla tristezza.

La si legge negli occhi spenti, la disperazione di uomini e donne che hanno perso tutto. Mentre bambini dallo sguardo impaurito si aggrappano alla veste delle madri. Chi ce l'ha ancora la mamma, ovvio. «Quel malessere generale fu uno stimolo per darmi da fare. Da quel momento mi misi a completa disposizione degli sfollati. Più che altro, ho cercato di donar loro un supporto morale. Necessitavano di conforto. Di volontari giovani ce n'erano molti. Rimasi colpito. Sono fiero della mia generazione», conferma.

Viene allestito un campo. Numerose le tende. La mansione di Angelo è cucinare. «A ognuno di noi spettava un compito. Io ero stato affidato alla cucina. Lo ammetto, non sono mai stato un portento ai fornelli. Tuttavia, me la sono cavata. Il dovere mi chiamava».

Le giornate al campo. Lunghe. Faticose. Ma gratificanti. «Qui c'è molto da lavorare. Si inizia alle sei del mattino col preparare la colazione. Da mezzogiorno alle due si preparava il pranzo. Mentre la cena dalle sette alle dieci. Rare erano le ore di riposo. Finivo sempre di pulire le pentole verso l'una di notte. Alla fine della giornata ero a pezzi. Ma ero compensato dalla contentezza dei terremotati nel vedere un piatto caldo a tavola. Era il mio scopo. Mi sentivo soddisfatto», dichiara.

In un contesto simile, fare nuove amicizie è inevitabile. Il diciassettenne viene ringraziato del suo operato. Costantemente. In particolare da una coppia di anziani. «Hanno entrambi settant'anni. Lui è invalido. Ma non so di preciso cosa abbia. Sono speciali. Si occupano del nipotino. Lo portano a fare lunghe passeggiate. Lo fanno divertire con giochi e battute. Cercano di non fargli pesare l'assenza dei genitori. Vedere scene simili è un colpo al cuore. Fanno riflettere. Mi fanno capire quanto io sia fortunato».

Permanenza di cinque giorni. Pochi ma tanti. Tanti perché Angelo è cambiato. Un'esperienza che lo ha segnato. In modo positivo, sicuramente. Il volontariato è il suo futuro.

«Mi sento un salvatore. Ho dato il mio contributo. L'ho fatto con tutto me stesso. Ringrazio la "Misericordia" di Atripalda. Se non ne avessi fatto parte, a quest'ora sarei stato il solito adolescente capriccioso. Quell'adolescente che si lamenta perché non possiede l'ultimo modello di i-phone. Ne sono orgoglioso. Da irpino so cosa comporta uno sciame sismico. E' vero, non l'ho vissuto sulla mia pelle. Però posso garantire di averlo percepito dai racconti di mio padre. E rabbrividisco ogni qual volta che li ascolto. Dunque, consiglio la mia esperienza di volontariato a chiunque. Specialmente a chi non ha mai teso la mano verso il bisognoso. Il mio appello è alzarsi dalla poltrona e darsi da fare. Lì fuori c'è sofferenza. Forse fin troppa. Sensibilizzarsi. Tutto qua. Compiere del bene è il sale della vita. A livello personale completa. Totalmente. Non lo dimenticherò mai. Paradossalmente, ritengo che la disgrazia capitata ad Amatrice sia un punto di partenza per quanti vogliono trovare un senso alla propria vita. Ebbene sì, il terremoto è un cambiamento d'essere. Per tutti».

Mariagrazia Mancuso*

Studentessa del corso di giornalismo organizzato da Ottopagine nell'ambito dell'iniziativa scuola/lavoro