Solofra

 

di Simonetta Ieppariello

 

Giornate di sole, passeggiate con le amiche, lavoro, famiglia, un matrimonio perfetto con l’uomo che ami, tuo figlio che cresce splendido e all’improvviso il buio. Prima il sospetto, poi la certezza. Il tumore è entrato nella tua vita, dentro di te. La voce si rompe all’improvviso, pianti, disperazione, sgomento, paura, ansia. Ma anche fiducia, cura, gioia, calore, affetto, gratitudine, amore. Questa è la storia di Elvira De Stefano che arriva dritta al cuore perchè Elvira di anni ne ha solo 34 anni e lotta da tre anni contro un cancro che dal suo seno sinistro è arrivato altrove.

Nelle sue parole il percorso speciale che solo una donna, una madre sa costruire fatto di estrema dignità e che riesce a fare di una bruciante imperfezione una fonte di coraggio e di amore. 

Prima la paura, il terrore, di fronte a questo gigante nero e minaccioso che è il tumore. Poi a poco a poco, in Elvira è nata una forza, una determinazione che le sta facendo affrontare con coraggio la malattia, che le fa credere nella vita, nonostante tutto e per tutto, per i suoi sogni e progetti, per suo marito Raffaele e suo figlio. 

«Si sentono tante emozioni diverse - racconta Elvira -. Ogni giorno è diverso da un altro. Ci sono poi i giorni brutti. In quelli sono nervosa arrabbiata per tutto e con tutti. Grazie alle persone che mi vogliono bene, all’Amdos e al dottore Carlo Iannace ho trovato il coraggio di piangere, di parlare, di raccontare, di non nascondermi».

Il coraggio dell’imperfezione che è coraggio di vivere e non di lasciarsi vivere, ma di assaporare ogni giorno l’autenticità di un sorriso dato o ricevuto.  Come il sorriso di Elvira che resta l’emblema della forza di chi lotta per la propria esistenza. L’emblema delle donne Amdos e Amos.

«E’ strano da raccontare cosa ti accade dentro, ma impari a distinguere chi ci ama da chi non ci ama, impari a riconoscerti e ad amarti con la malattia e superata la malattia, perché anche dopo è necessario farci i conti. Come è accaduto a me che continuo a lottare. Ogni giorno».

La sua ombra resta scavata nel corpo e nell’anima ed è come un doppiofondo, una cassa di risonanza che fa risuonare più forti le emozioni. Tra le tante vivide immagini che restituisce il racconto di Elvira, scorrendo le sue foto sul profilo facebook ne riesce una immagine vivida di una donna che cambia ma che è sempre più bella, dal sorriso forte e generoso che la rende luminosa. Unica.

Quando mi hanno detto che avevo un cancro al seno mi sono detta: non importa, affronterò tutto. Succedeva tre anni fa. Sto ancora combattendo, e sembra più dura questa volta». 

Ricevere una diagnosi di cancro è uno di quegli avvenimenti in grado di mettere KO chiunque. Specie poi se si è ancora giovani, con tutta la vita davanti. «Ci vuole molto coraggio, quello stesso coraggio che ci vuole per affrontare la malattia e, magari, vincerla. Non dimenticherò mai il mio incontro con il dottore Carlo Iannace. Mi diagnosticò due tumori uno di tre centimetri e mezzo e uno di un centimetro e mezzo. Era un g2. Ho subito l’asportazione del seno, lo svuotamento ascellare. In ogni momento di sconforto mi appare davanti il volto di mio figlio che da tre anni lotta con me. Ha sei anni e il suo cuore grande. Lui e mio marito Raffaele sono la mia forza».

Quella di Elvira è una storia difficile fatta di fasi di risalite e brusche ricadute. Il primo anno trascorre sereno. Si opera e si cura. Sembra tutto passato.

«La ricaduta è la cosa più brutta che possa accadere ad un malato di cancro - spiega -. Il secondo anno scoprii che nonostante tutto il mio dolore c’erano metastasi a fegato e polmoni. Il terzo anno se i polmoni erano guariti da quei mostriciattoli che tutto divorano, si è ammalata la testa.  Sto continuando ad affrontare chemio dolorose. Ma non importa. Sono fiduciosa, ce la farò. Poco tempo fa ho festeggiato il mio compleanno. C’era anche il dottore Iannace. Un regalo bellissimo, la mia vera fonte di volontà ed energia a curarmi». Elvira spiega come in percorsi così delicati di malattia si viva in fondo alla giornata. «Ci sono giorni buoni. Altri brutti. Questa fase è terribile. Le complicazioni alla testa, la formazione di un edema che ancora non si asciuga mi stanno rendendo sempre meno autonoma. Ma questo è il coraggio speciale di una donna Amdos, pensare sempre e comunque devo farcela».