di Luciano Trapanese

Sul terremoto c'è una frase che ci ha creato inquietudine. L'ha pronunciata Maria Rosaria Pecce, una donna che parla con cognizione di causa: è ordinario di tecnica delle costruzioni presso il Dipartimento di Ingegneria dell'Unisannio. Anche lei ha ribadito che non si deve creare allarmismo. E ne siamo consapevoli. Ma leggete quello che dichiarato: «Benevento si trova in una zona ad alta pericolosità sismica (come tutta la Campania ndr), ed ha un patrimonio edilizio datato. Oltre al centro storico c'è, infatti, un'edilizia degli anni 60 o 70, in cemento armato, che non è tra le migliori e che attraversa una fase di invecchiamento in contemporanea (come in tutte le città italiane ndr). Cioè tutti gli edifici sono della stessa epoca, e tutti con grande pericolosità. Dobbiamo però imparare a convivere con il rischio sismico».

E quindi, non parliamo solo del centro storico. Ma dei quartieri nati con il boom edilizio, tra gli anni '60 e '70. Ovvero quasi il cinquanta per cento degli edifici delle città campane, e non solo. Quelle case che – a rigor di logica – sembrerebbero le più sicure. Certamente meno fragili rispetto a centri storici che risalgono spesso al Medioevo.

La questione riguarda il cemento armato, che proprio negli anni del boom ha iniziato ad avere il suo massimo utilizzo. Negli anni '50 quel materiale sembrava eterno, indistruttibile. Destinato ad avere la stessa vita delle rocce. Con il tempo si è capito che non è così. Ci sono fenomeni come la carbonatazione che indeboliscono le strutture. Ma al momento è impossibile stabilire la “durata” di un palazzo di cemento armato. Non si segnalano crolli dovuti a vecchiaia (ma solo per eventi esterni, come appunto il terremoto, o strutturali, conseguenza di pessime progettazioni o realizzazioni). Quel che è certo è che non sono eterni. Hanno una durata. Una scadenza.

Lo sanno bene gli ingegneri. Molto meno i cittadini. E non se ne preoccupano le istituzioni: una questione enorme, si scappa di fronte a situazioni ben più semplici (la messa in sicurezza degli edifici pubblici), figuriamoci davanti all'enorme mole di palazzi costruiti per civili abitazioni.

Gli esempi che arrivano dall'estero purtroppo non ci aiutano. Negli Stati Uniti l'utilizzo del cemento armato risale a un decennio prima della seconda guerra mondiale. Le strutture lì, evidentemente, avrebbero potuto dare delle risposte almeno più precise sulla resistenza al trascorrere del tempo di quel materiale che si riteneva eterno. E invece, niente. Negli Usa i palazzi, dopo venti, trenta anni li buttano giù per costruirne nuovi. Quasi la stessa cosa accade in molti Paesi europei: quando i costi di manutenzione diventano eccessivi, radono al suolo e ricostruiscono.

In Italia proprio no. In Campania anche meno. E con la ricca presenza di edifici abusivi costruiti chissà come, di certo non c'è da stare sereni. Senza allarmismi.