Avellino

di Simonetta Ieppariello

La chiamano “la rossa”. Un mix di farmaci potente, tra cui l’epirubicina, che attacca le cellule tumorali. E ci mette poco, prima di iniziare a far cadere i capelli. Dieci, al massimo quindici giorni e poi cominciano a venir via a ciocche. Sotto cuscino, sotto il cappello, durante la doccia. 

La rossa è un ciclo di chemioterapie fra i più aggressivi. Quattro o cinque sedute, ma toste. E poi la fase più drammatica e visibile della cura. 

«Quando mi fu comunicato che avrei dovuto fare la chemioterapia, la prima cosa che pensai è stata: "Mi tocca farla, so bene che è una medicina molto amara,  il mio corpo la mia mente riusciranno a sopportarla? ”», racconta la dottoressa Silvana Ianuario, una delle donne Amdos, una donna di quell’esercito di guerriere che hanno vinto o stanno lottando contro il cancro e lo fanno stando insieme. «Poi si aggiunge la nausea e la perdita dei capelli. La perdita dei capelli fotografa lo stato più basso della cura, ti segna ti indica con il dito che sei malata di tumore. Questo è il momento psicologico più delicato in cui devi riunire tutte le forze che ti rimangono per reagire e per farcela. I capelli si perdono ed allora devo uscire dall’isolamento riacquistando la normalità. - racconta la dottoressa Ianuario - La prima cosa che ho fatto, è stata quella di comprare una parrucca del colore dei miei capelli». 

In Italia il prezzo di un toupet oncologico va dai 400 euro per un modello sintetico fino ai duemila di uno con capelli veri. Nonostante una pronuncia dell'Agenzia delle Entrate, sono poche le Regioni che garantiscono contributi e indennizzi. E laddove non arriva lo Stato ci pensano associazioni ed enti privati. Proprio come l’Amdos che ha creato una banca vera e propria della parrucca. 

Un posto speciale dove chi non può acquistarne una ne trova una che è stata donata. E’ una delle tante iniziative Amdos, che vogliamo raccontarvi aspettando la Camminata Rosa del diciotto settembre prossimo, quando vedrete sfilare da Mercogliano ad  Avellino il popolo delle donne, ma anche molti uomini, per promuovere la prevenzione del cancro al seno, perché la prevenzione salva la vita. In capo a tutti c’è lui Carlo Iannace un medico che del volontariato ha fatto il suo baluardo.

Silvana è una donna Amdos, guida l’Associazione di Avellino e la ringraziamo per averci donato il suo racconto. Ne facciamo tesoro perchè, a differenza di quanto ognuno di noi creda, le storie di cancro possono essere storie di straordinaria forza e speranza. Silvana è un medico che nel 2003 ha scoperto di essersi ammalata di tumore. La lotta è stata dura. Ce l’ha fatta e del suo dolore ha fatto rete e forza con tante donne come lei che hanno costruito l’associazione preziosa che assiste e aiuta chi si ammala, chi lotta, chi perde i capelli chi ha bisogno di sapere cosa accadrà domani. 

Leggere le testimonianze di chi è riuscito a superare lo scoglio della malattia è una salutare iniezione di speranza, che conferma i risultati ottenuti dalla ricerca.

Quelle che leggerete sono testimonianze di donne che hanno vinto la loro sfida contro il tumore al seno.  Inni alla vita nella maggior parte dei casi. Un regalo per altre donne,  per i loro cari e per tutte le persone che le hanno curate. «Ricordo ancora i primi sintomi. Quella diagnosi iniziale sbagliata. Mio padre che morì io che mi sentivo debilitata ed avevo perso 14 chili. Era un periodo di grande confusione e dolore. Poi ci fu quella biopsia mammaria. Non dimenticherò mai la freddezza di quel referto: “carcinoma infiltrante”. Una busta aperta insieme a mio marito, alla vigilia delle nostre nozze d’argento.  Da lì, da quella diagnosi, è iniziato tutto. L’intervento, cicli di chemio per allontanare lo spettro di una ricaduta. E mentre Silvana combatteva la battaglia per «togliersi di dosso il mostriciattolo che divora» ha dovuto anche far fronte alla calvizie. L’ha fatto con forza, con quella forza che forse non credeva neanche di avere. 

Sebbene spesso sia una necessità, comprare una parrucca per le donne che combattono il cancro può rivelarsi un lusso. Una spesa importante, che incide sul bilancio, in un momento in cui le famiglie devono sostenere terapie mediche salvavita costose. Le pazienti spesso rinunciano a coprire la testa con una parrucca. Indossano foulard e berretti: copricapo meno costosi. Si rinchiudono in casa e smettono di lavorare. Potersi permettere una parrucca, dunque, non significa solo appagare un bisogno estetico ma è un modo per migliorare la qualità della vita delle pazienti.

«Le pazienti in molti casi non vogliono essere compatite né capite, ma soltanto consigliate», spiega Ianuario. 

Quella di Silvana Ianuario è una storia di una donna che la malattia ha reso incredibilmente forte e combattiva, al punto, talvolta, di dare una svolta decisiva alla propria vita. «La malattia si può vincere - racconta -. L’ho capito quando andai dal dottore Veronesi a curarmi. Effettuò l’asportazione della massa lo svuotamento ascellare e mi disse “lei per me è guarita”. Capii subito il senso di quella frase. Il tumore non è una condanna a morte, ma una guerra. Quella era la prima battaglia e l’avevo vinta. Il male era stato strappato via dal mio corpo. Iniziava allora un’altra fase». 

Proprio 13 anni fa Silvana conosce Mirella Zerlenga, un incontro cruciale e decisivo nella sua vita. Con lei a casa di Carla Mannese ,Bettina Basso, Paola Basagni e il dottore Carlo Iannace con il professore Francesco Caracciolo nasce l’Amdos di Avellino.

«Cambiò interamente la mia prospettiva di impegno per me stessa, ma anche per il prossimo - racconta con malcelata emozione Silvana- e qualche anno dopo eravamo a Santa Paolina: la prima giornata delle visite gratuite.  «Davvero mi piace trasmettere alle donne e uomini che incontro nelle nostre giornate che non bisogna avere paura - spiega -. Dalla malattia si può uscire, si può guarire. Reagire bene al male è fondamentale. Per questo ci siamo noi, donne Amdos, donne al servizio di altre donne.

Quasi tutte hanno avuto la vicinanza di persone speciali: parenti, amici, personale sanitario e le nostre socie Amdos del punto di ascolto nella Breast Unit del Moscati. Angeli custodi a cui si sono rivolte nei momenti difficili, senza pudore, lasciandosi andare. «Ho anche un marito e figli eccezionali.  Hanno saputo starmi vicino dandomi forza». Silvana ha avuto un decorso importante e, forse, anche più difficile. Dopo tre anni dall’intervento, una complicanza: il linfedema del braccio.

Racconta  “E’ stato terribile. Mi sono sentita diversa, menomata. Il mio braccio era gonfio deturpato. Della mia esperienza ne ho fatto forza. Ho fatto un corso di due anni specializzandomi come medico su questa materia e da due anni organizzo un corso di ginnastica dolce per aiutare altre donne operate a non vivere la mia stessa traumatica esperienza”. Questo siamo noi, ripeto, donne al servizio di altre donne.