Ercolano

C’è una canzone, scritta da una rock band calabrese, Le Rivoltelle, che si intitola "Io non m’inchino". E’ dedicata al magistrato antimafia Nicola Gratteri. Da Catanzaro a Palermo, da Castellammare a San Paolo Belsito, di santi e madonne che si sono inchinati durante le processioni davanti al balcone del boss è piena la storia del Sud. A Ercolano il sindaco ha detto basta. 

E’ arrivato il momento di dire: non mi inchino. Davanti alla camorra nessuna riverenza, e nessuno abbasserà più la testa. L’iniziativa di Ciro Buonajuto è molto più di un gesto simbolico. Il giovane primo cittadino eletto un anno fa con il Pd, si meraviglia quasi del clamore che ha suscitato la notizia. “Una cosa normale qui nel Mezzogiorno diventa una cosa straordinaria”. 

Il 15 agosto nella città degli scavi si rinnova la festa patronale dell’Assunta.  Sarà una festa in grande stile con circa diecimila partecipanti. La processione dura tutto il giorno di Ferragosto, dalla mattina alla sera, e vede sfilare per le strade della città i due carri (da una tonnellata l’uno) con la statua della Madonna di Pugliano e il Cristo Nero. 

Per impedire inchini sospetti ai boss locali il sindaco ha preparato una lista, quella dei portatori delle statue, e l’ha consegnata ai carabinieri. Un elenco di quasi quattrocento nomi che ora i militari stanno vagliando per verificare che tra loro non ci siano pregiudicati o esponenti di camorra. Una sorta di lista di “impresentabili” sarà dunque stilata alla fine del controllo, per evitare infiltrazioni dei clan tra i sedicenti fedeli che porteranno le statue. Il parroco di Santa Maria a Pugliano e i comitati festa si sono subito messi a disposizione. Ma l’iniziativa del sindaco non ha mancato di suscitare polemiche, e qualcuno ha storto il naso. 

“E’ una decisione impopolare? Non mi importa - ha dichiarato Buonajiuto -  se la legalità e la trasparenza hanno un costo, un sindaco di una città come Ercolano, afflitta da tanta disoccupazione e disagio sociale, deve essere pronto a pagarne il prezzo. In questa città, fino a qualche anno fa la camorra condizionava la vita di ogni giorno. Questa è una scelta fatta per i nostri figli. La cultura della legalità crea ricchezza, la ricchezza vera, quella che dà agio e serenità. Fino ad oggi invece la ricchezza delle terre del mezzogiorno è stata inquinata dalla malavita organizzata. Noi a questa ricchezza dobbiamo avere il coraggio di dire no. Adesso, pur tra mille difficoltà, dobbiamo voltare pagina. Non dobbiamo più abbassare la testa”. 

Il messaggio è chiarissimo. La black list conterrà i nomi dei portatori in odore di camorra e si spera che questo basti a impedire soste non calcolate durante la processione. Soste che per decenni hanno raccontato di un’altra Italia, dove anche i santi si inchinano al boss e interi paesi piegano la testa e la schiena davanti al potere dei capi clan locali. Un’ adorazione coatta, una forma di tributo che ad ogni processione il popolo deve pagare a chi lo “protegge” . 

Ma i casi di ribellione a questa usanza malata sono sempre più frequenti. E se prima tutto avveniva nel silenzio connivente di sindaci, parroci e cittadini, oggi ogni inchino fuori programma fa scattare un campanello di allarme. L’ultimo a giugno, a Corleone, quando il corteo di San Giovanni si fermò sotto il balcone di Ninetta Bagarella, la moglie di Totò Riina, e l’inchino non è passato inosservato alle forze dell’ordine. 

Nella Diocesi di Oppido Mamertina-Palmi, in Calabria,  le processioni furono sospese nel 2014 in seguito all’inchino della Madonna delle Grazie sotto la casa del boss Mazzagatti.

Solo un mese fa a Livardi, nel comune di San Paolo Bel Sito, in provincia di Napoli, il parroco don Fernando Russo e il maresciallo dei carabinieri Antonio Squillante  hanno abbandonato la processione perché durante il percorso qualcuno aveva deciso di fermare la Vergine davanti alla villa di Agostino Sangermano, ritenuto a capo dell’omonimo clan del nolano, che era ai domiciliari. Il vescovo di Nola scrisse al suo parroco: “Bravo, hai fatto bene”. Poi la Procura ha aperto un’inchiesta. Insomma gli anticorpi si stanno moltiplicando, nelle processioni carabinieri e polizia in borghese tengono d’occhio i sospettati, anche se spesso non sono affiliati. 

Per il ferragosto di Ercolano il programma si è ridotto a 12 soste di pochi minuti nei pressi delle parrocchie. “L’unica sosta straordinaria  è quella che verrà fatta davanti al Municipio”, aggiunge il sindaco. E qualcuno già avanza l’ipotesi di fare un’inchino anche davanti alla caserma dei Carabinieri o al commissariato di Polizia e perché no, magari anche davanti alla sede del Tribunale, se ce ce n’è uno. Simboli dello Stato, che per molti andrebbero omaggiati a prescindere. Ma anche in questo caso si rischierebbe la stortura, l’eccesso. E potrebbe accadere, come è accaduto a Salerno, che qualcuno si ribelli ai ribelli. Le cronache salernitane si sono sprecate per mesi dopo la decisione del Vescovo Moretti di eliminare dalla processione le cosiddette “girate” di San Matteo, ovvero l’omaggio del patrono ai quartieri del centro storico, comprese le soste davanti alla sede della Guardia di Finanza e, soprattutto, quella nell’atrio del Comune.  Il Presule aveva deciso che il Santo non si sarebbe “sottomesso” a nessuno, compreso il sindaco “sceriffo”, attuale governatore, Vincenzo De Luca. Le nuove regole non piacquero ai portatori e la processione si svolse tra fischi e contestazioni al Vescovo. La statua non solo entrò nel Comune ma fu addirittura deposta a terra davanti al palazzo della Provincia. La città si divise in due. Il vescovo è andato avanti per la sua strada e l’anno successivo la processione si è svolta secondo le nuove regole. 

La decisione del sindaco Buonajuto, quella del vescovo Moretti, e quelle che in tanti hanno preso rischiando di essere impopolari rappresentano gesti di rottura, per fortuna sempre più frequenti. Gesti necessari per liberarsi dalle catene dei boss e dei padrini di ogni genere. Che portino la coppola, giacca e cravatta, o la fascia tricolore. 

rostri