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Se un avvocato lecca i piedi dell'attraente piemme (o almeno è ritratto nell'atto di compiere il fatidico gesto di sottomissione), può il magistrato in questione continuare a occuparsi delle cause che vedono coinvolto quel penalista? Se lo chiedono in tanti, dopo la pubblicazione delle foto (su Il Giornale), che ritraggono il sostituto procuratore Simona Merra e ai suoi piedi, nell'atto di leccare, l'avvocato Leonardo De Cesare. Il tutto durante una festa e con l'intento – sostengono i protagonisti – di fare una semplice goliardata.

Direte, saranno pure fatti loro. Ma se il magistrato in questione è cotitolare della delicata indagine sulla tragedia ferroviaria di Andria, e il penalista in ginocchio il difensore del capostazione sotto inchiesta, potrebbe scattare qualche dubbio. Quella familiarità tra i due non può forse rafforzare la tesi dell'incompatibilità da parte del togato? I parenti delle vittime si sono detti «allibiti». E alla fine di un tam tam mediatico, che ha mostrato all'Italia intera il piede del magistrato e la lingua dell'avvocato, si è arrivati alla conclusione che Simona Merra si «asterrà dall'ulteriore trattazione del procedimento».

Ora, questo è un caso limite. L'inchiesta riguarda un'inchiesta delicatissima e la foto è alquanto imbarazzante. Ma ci chiediamo, in un piccolo tribunale di una piccola città, dove spesso i magistrati conoscono da prima ancora di frequentare l'università alcuni avvocati, dove è facile incontrarsi nello stesso bar, nello stesso ristorante, nella stessa palestra, non ritenete che una familiarità (non necessariamente spinta al leccapiedi), sia la norma e non l'eccezione?

Certo che sì. Può capitare ad Avellino a Benevento a Salerno. E poteva accadere – prima della soppressione – ancor di più ad Ariano o Sant'Angelo dei Lombardi o in tutti gli altri piccoli palazzi di giustizia della Campania, e non solo.

Cosa avrebbe pensato il familiare – è un esempio – di una donna uccisa dal marito alla vista dell'avvocato dell'imputato che confabulava – fuori dal tribunale -, con fare amichevole, con il giudice o il rappresentante della pubblica accusa? Probabilmente la stessa cosa che hanno immaginato i parenti delle vittime della strage di Andria.

O ancora. E se in quella festa, l'avvocato De Cesare, non si fosse esibito in un gesto – diciamo – così fetish, ma si fosse limitato a scambiare – con identica intimità – quattro chiacchiere con il piemme, ebbene nessuno avrebbe detto nulla. Ma la sostanza non sarebbe cambiata.

La piemme pugliese ha fatto bene a rinunciare all'inchiesta. Quella foto avrebbe continuamente messo in discussione la sua imparzialità (magari anche a torto). Ma – fatta eccezione per la posa, decisamente fuori luogo -, davvero non riusciamo a capire lo scandalo e le reazioni sdegnate.

Accade, e spesso, che avvocati e magistrati siano in rapporti molto amichevoli. Lo sappiamo anche per esperienza vissuta. Così come conosciamo magistrati che una volta arrivati in procura hanno tagliato i rapporti con tutti proprio per evitare situazioni spiacevoli. Ma al di là di qualche eccezione (inevitabile), riteniamo che alla fine vince sempre la professionalità. Esattamente come quando abbiamo visto in aula, due penalisti, prendersi a randellate verbali durante un'udienza, e poco dopo bere allegramente un caffè al bar del tribunale.