di Luciano Trapanese

Un Paese di corrotti. Ce lo dicono tutti. Da anni. La Corte dei Conti lo ripete in ogni occasione, fornendo dati, cifre. Anche – a volte – soluzioni. Lo ribadisce il Centro studi di Confindustria: «I processi decisionali sono pesantemente influenzati da mazzette e scambi di favori». Lo conferma Raffaele Cantone, capo dell'Autorità anticorruzione. Lo relaziona la classifica di Transparency International: la Penisola è al 69esimo posto su 177 per la percezione della corruzione (come cita Il Fatto Quotidiano). Ora anche la Bce (Banca centrale europea), che considera il dilagare della corruzione in Italia un ostacolo importante per la crescita e lo sviluppo.

Un coro. Che individua sempre lo stesso male. Spesso associato (in alcune regioni, come la Campania), con il crimine organizzato.

Dunque, il cancro è lì. Eppure si fa poco, o meglio: nulla. La legge anticorruzione è bloccata in Parlamento da tempo immemore. E le indagini sono difficili, al limite dell'impossibile. Anche “grazie” alla muraglia di provvedimenti a favore dei corruttori costruito nel ventennio berlusconiano, con la compiacenza – più o meno esplicita – dell'opposizione. Prescrizione veloce, falso in bilancio depenalizzato, abuso d'ufficio di fatto impossibile da dimostrare. Una trincea che ha consentito il dilagare di un fenomeno già estesissimo (come ha dimostrato, nonostante le sue aberrazioni, anche Mani Pulite). Nel frattempo una legge elettorale ignobile ha consentito a molti che non avevano alcuna competenza di occupare, in modo davvero imbarazzante, un seggio in Parlamento. Corruzione più classe politica in larga parte inadatta (e siamo buoni): quello che è venuto fuori lo vedete tutti. E da anni.

Il punto è che sui media, nei talk show, nell'agenda politica, la questione corruzione viene sempre dopo.

Non c'è fretta. Come fosse un fastidio. Eppure lo dicono in tanti (come avete letto): è un nodo chiave per far crescere questa nazione. Come le riforme (ma quali?), più delle riforme.

Del resto, lo sapete tutti. Basta leggere un po' la cronaca o anche per esperienza personale. In ogni dove vige la legge della “conoscenza”. Dalla sanità: se vieni al mio studio privato poi è facile ottenere il ricovero. Alla pubblica amministrazione: posso aiutarti ad avere quella concessione. Si comincia dal basso, dalle piccole cose. Per poi continuare in un crescendo rossiniano che prevede un turbinare di mazzette. Per qualsiasi cosa. E se prima (Mani Pulite), il politico di turno intascava anche per il partito. Ora – che i partiti non ci sono più (inutile girarci intorno) -, la tangente è ad personam. Dall'assessore, al dirigente di un comune, al primario e via dicendo.

Sradicare questo che non è un semplice malcostume (come pure qualcuno si è spinto a etichettare), è impresa complessa. E – riteniamo – neppure popolare. La scorciatoia, il favore, l'amico dell'amico, fanno quasi parte del modus vivendi dell'italiano medio. E anche per questo, negli anni, alcuni reati non hanno suscitato nell'opinione pubblica il clamore dovuto. Ora il vento è cambiato. O meglio: la fine della stagione delle clientele (che ha segnato anche lo sfaldamento dei partiti), la pesante crisi economica, l'esigenza di procedure corrette per tutti, hanno modificato la percezione della corruzione. O, per essere più chiari, è emersa in modo più nitido la sua valenza negativa. Oggi – e per fortuna -, non si perdona nulla. Dalla tangente milionaria al furbetto del cartellino.

Si può dire: il Paese è pronto a una stretta decisa per arginare la corruzione. Il Paese, appunto. Evidentemente il Parlamento molto meno. Nonostante gli inviti, che arrivano direttamente dall'Europa. E se in altri settori, quello che dice l'Ue è un diktat al quale è impossibile sottrarsi, in questo caso si fa allegramente finta di non sentire.