di Luciano Trapanese

Il Papa su Dabiq, la rivista dell'Isis. Ritratto come il simbolo e l'incarnazione degli infedeli. Un prete sgozzato nella piccola chiesa di un paesino della Normandia. Gli inviti a colpire Roma reiterati negli ultimi mesi. L'allarme è massimo anche in Italia. E tra gli “obiettivi sensibili” ci sono anche le chiese. E non solo il Vaticano e dintorni. E' uno degli effetti di questo luglio di sangue, iniziato con la folle corsa del tir sul lungomare di Nizza.

Siamo a un punto cruciale. L'assalto alla chiesa di Saint'Etienne du Rouvray, conferma una certezza: i terroristi possono colpire ovunque, anche nei posti più sperduti. L'effetto mediatico è lo stesso. Il rischio di essere intercettati molto più basso.

C'è una domanda che circola da tempo: perché in Italia non si sono ancora registrati attentati? Ed è una domanda legittima, anche perché molti dei terroristi che hanno colpito in Francia e in Belgio sono passati per la Penisola. Alcuni ci hanno anche vissuto.

Lucia Annunziata ha avanzato su Huffington Post alcune ipotesi. Su una – la più inquietante – si è soffermata di più: e se avessimo stretto un accordo segreto con lo Stato Islamico: voi non ci colpite e vi lasciamo circolare tranquilli nel Paese?

L'Annunziata richiama un precedente storico. L'accordo andreottiano con i terroristi palestinesi (poi finito male), siglato negli anni '70 e confermato in più di una occasione da Cossiga.

Tutto è possibile. Ma non ci sembra credibile. Quello palestinese era un terrorismo finalizzato al riconoscimento di uno Stato, la Palestina appunto (e l'Italia all'epoca aveva un ruolo cruciale in Medio Oriente). Quello dell'Isis, è globale. E mira a istillare in Occidente un sentimento islamofobo, capace di disgregare dall'interno l'Europa e dare il là ad una vera guerra di civiltà (o religiosa). Cristiani da una parte, musulmani dall'altra.

Siglare un patto (e poi con chi, con Raqqa?), non è né possibile e neppure consigliabile. Imporrebbe l'Italia agli occhi dell'Europa come una sorta di stato canaglia.

Ci sono, crediamo, altre ragioni. Non hanno a che fare con la nostra intelligence o con l'assenza (ma è vero?), di quartieri ghetto nelle nostre città pieni di immigrati di prima o seconda generazione.

E' forse più probabile un'altra ipotesi: dei cinquemila cittadini europei che hanno combattuto in Siria al fianco dell'Isis, un terzo è tornato in Europa. Circa mille e 800. E quelli “italiani” sono molto pochi rispetto ai francesi, belgi, svedesi, inglesi o tedeschi.

Ma non solo. C'è anche un dato – ben noto – ma che si finge di ignorare. La nostra immigrazione proviene in gran parte dai paesi sub sahariani. Persone che per il 70/80 per cento sono di religione cristiana.

Due dati che non bastano a metterci al riparo. I musulmani sono comunque molti in Italia. E non c'è nessun dato che può dirci quanti siano sensibili a una radicalizzazione vicina alle posizioni dell'Isis. Anche perché quel tipo di integralismo non viaggia più tre le moschee (sulle quali un certo tipo di controllo è piuttosto agevole), ma sul web o con contatti personali e ristretti.

Su cosa sia questo terrorismo, lo ha spiegato a Massimo Adinolfi, il filosofo Emanuele Severino, uno dei più grandi pensatori del nostro tempo: «Oggi sta diventando chiaro che il terrorismo include ma non coincide con il terrorismo fondamentalista islamico. Certo, e? venuto in chiaro come siano radicalmente sbagliati i motivi che spingono quelli che non si sentono a proprio agio nelle societa? occidentali a reagire in modo cosi? violento. Il terrorismo islamista e? pero? solo la componente eminente, non l’unica. E? vero tuttavia che le diverse for-me di disagio trovano una giustificazione, forse persino una santificazione nella causa islamica. Ma ci sono anche casi in cui questo non avviene. Definire il terrorismo come esclusivamente terrorismo islamico fondamentalista e?, dunque, improprio. Vi sono altre componenti: anzitutto il disagio, il risentimento degli emarginati. Ma anche la sublimazione di patologie mentali: la sublimazione, dico, nel senso di una giustificazione religiosa, ma anche nel senso dell’esibizione di un coraggio cieco e assoluto di fronte alla morte. Perche? questa gente appartiene alla catego- ria dei candidati al suicidio. Temo anzi che saranno sempre di piu?, tra quanti pensano al suicidio, quelli che risolveranno il problema motivandolo religiosamente o politicamente o ideologicamente».

Una riflessione illuminante e inquietante. Che ci porta anche a una conclusione. Se in Italia non si sono ancora verificati attentati è solo per caso. Non siamo né protetti (da accordi segreti, da una intelligence straordinaria o addirittura – come pure si è blaterato – dalla malavita organizzata), né esclusi. Siamo crociati, come gli altri. E la foto del Papa sulla rivista del terrore, con il nome dell'Italia associato a più riprese con la Francia e il Belgio, sono segnali troppo evidenti per non farci preoccupare. Oltre al fatto - come dice Severino – che questo tipo di terrorismo va anche oltre il fondamentalismo islamico.