di Luciano Trapanese

Non è più un caso isolato. Nel triangolo San Valentino Torio, Cava e Pimonte, un pezzo molto piccolo di Campania tra le province di Napoli e Salerno, si sono consumate in meno di un mese tre violenze di gruppo. E se quella di Cava de' Tirreni rientra in una dinamica diversa (un 17enne avrebbe subito ripetuti abusi da almeno quattro adulti), gli stupri che si sono verificati a San Valentino Torio e Pimonte, sono del tutto simili tra loro. Anche in modo inquietante.

L'età delle vittime: ragazze di quindici anni. Il branco: cinque a San Valentino. Addirittura undici a Pimonte. L'età degli stupratori: tutti minorenni, alcuni coetanei delle adolescenti. E non basta: nei due casi il fidanzato o ex fidanzato delle vittime ha avuto un ruolo chiave. E in entrambi gli episodi, in particolare a Pimonte, gli abusi sono stati filmati con il cellulare. Anzi, a Pimonte, il branco ha fatto anche di peggio: le scene riprese sono state inviate via whatsapp a centinaia di coetanei della zona. Quasi come un cimelio, una dimostrazione digitale del loro machismo. Una ulteriore terribile umiliazione per la ragazzina che aveva già dovuto subire la violenza del gruppo.

Sono due storie orribili. Non possono essere trattate e archiviate come banali fatti di cronaca. E hanno troppi punti in comune. Nel caso di San Valentino, il day after degli arresti è stato caratterizzato da un “già visto” sconcertante. Ma purtroppo comune a tante storie simili. «Lei se l'è cercata». O anche: «Quella ci stava». Per finire con un «vestiva in quel modo». E il vestire in quel modo è riferito ai pantaloncini corti così diffusi questa estate tra le adolescenti e non solo. E già che siamo in un'epoca digitale, segnata dalla comunicazione via social, questo “già visto” è stato amplificato dal web (commenti su Facebook in particolare), creando nella vittima altra umiliazione e altri danni.

Non possiamo dire se questo accadrà anche per i fatti di Pimonte. Ci auguriamo di no. Ma tutto è possibile.

Di certo l'età dei protagonisti è quello che colpisce di più. Insieme al numero degli stupratori. Hanno agito in branco, si sono sentiti più forti, più sicuri. Forse anche più brutali. E la legge del branco ha anche spento qualche eventuale flebile voce che magari diceva : «Ma che stiamo facendo?»

Cosa è scattato nella testa di questi ragazzini? Come hanno potuto immaginare di commettere un atto così violento e farla franca, fornendo oltretutto con le riprese video la prova inoppugnabile della loro colpevolezza? E poi, perché avevano bisogno di far vedere anche agli altri, a tutti gli altri, la loro “impresa”? A spingerli non crediamo sia stata solo la voglia di umiliare ancor di più la ragazzina. Ma la necessità quasi di accreditarsi tra gli amici, di dire “guarda cosa siamo stati capaci di fare”. E di inviare a tutti quelle scene quasi fosse uno dei tanti selfie.

Una dinamica tipica del bullismo di questi anni. Con le vessazioni che non sono soltanto di sottomissione fisica o psicologica, ma anche sessuale. Il social spinge poi – proprio come in tante storie di sopraffazione riprese nelle scuole – a filmare le scene e riproporle agli altri. Il tutto condito da una concezione del tutto sballata del sesso, complice l'accesso facile a siti porno. La complicità dei fidanzati è poi un innesco fondamentale. Primo perché le ragazzine hanno fiducia in loro. E poi, perché si ingenera l'assurda convinzione: «se c'è stata con lui ci sta anche con noi».

Un mix devastante di violenza e ignoranza. A farne le spese sono adolescenti appena uscite dall'infanzia e già costrette, dopo questi abusi, a fare i conti con i traumi di una esperienza che le scaraventa nella parte più brutale e ignobile del mondo degli adulti. E a causa di coetanei forse neppure consapevoli fino in fondo del male che stanno provocando. Non consapevoli del tutto, ma neppure innocenti.