E' inevitabile. Dopo i fatti di Nizza, Monaco, Orlando, gli arresti in Brasile, e tanti altri casi sparsi in Europa (soprattutto in Francia), difficile non immaginare anche il peggio. L'incubo terrorismo può materializzarsi in ogni dove. Non serve una cellula Isis. E neppure la pianificazione lunga di un attentato (anche se a Nizza la vicenda sembra sia più complessa). Non servono armi da fuoco. Non ci si radicalizza in una moschea. Basta meno, molto meno. Una mente fragile, lo spaesamento in una nazione straniera, e un collegamento sul web.
L'identikit degli ultimi terroristi è spiazzante. Musulmani all'acqua di rose, poco inclini alla preghiera e molto più agli stravizi, nessun legame diretto con Daesh, qualche precedente penale, una tenuta psicologica almeno instabile e una vita costellata da piccoli e grandi fallimenti. Quanto basta per uscire dal radar che tutte le intelligence hanno attivato sulle frange violente dell'Islam. Nelle storie di questi personaggi entra però, quasi sempre, il web. O meglio: la radicalizzazione per via digitale. Il matrimonio virtuale con le cause dell'integralismo più efferato.
E' forse la conseguenza più estrema e letale di quel virus che il Califfato ha iniettato nel mondo occidentale. Il nemico può essere ovunque. Il terrorismo può manifestarsi in ogni momento. Basta un coltello, una pistola, un automezzo lanciato su una folla qualsiasi. Si urla Allahu akbar, e l'Isis ci mette il cappello con la consueta rivendicazione («ha colpito un soldato di Allah»).
Se questo è il quadro, ci appare – e da tempo – davvero assurdo che i teorici del Califfato continuino senza alcuna difficoltà a comunicare con il mondo via internet. E ad avvicinare in questo modo migliaia di disperati con l'ambizione del martirio e delle vergini in paradiso.
Basta digitare sul web, “Dabiq”, e comparirà in formato Pdf una rivista patinata, dalla grafica raffinata e tutta in inglese, che è in pratica l'organo stampa dell'Isis. Viene letto da centinaia di migliaia di persone nel mondo, ed è scritto e composto da veri esperti di informazione e propaganda. Provate a leggerlo, mettendovi nei panni di un giovane musulmano, insoddisfatto, deluso, idealista e facilmente influenzabile. Quei messaggi possono arrivare dritti al bersaglio. O comunque suscitare simpatia (che è poi l'inizio di una affiliazione), per la causa terrorista.
Ma non è tutto. Volete essere informati in tempo reale su tutto quello che si agita nel mondo Isis? Sempre sul web, digitate Amaq News Agency, e vi ritroverete nel sito dell'agenzia stampa del Daesh. Per non parlare dei filmati, girati con estrema professionalità e montati da esperti. Il tutto coordinato direttamente da Daqqa. Il resto viaggia e abilmente su Twitter e Telegram.
Una organizzazione estremamente articolata, che utilizza i canali disponibili per arrivare a più persone nel mondo. E contro la quale non si è riusciti a creare nessun argine. I guru dell'informazione occidentale non sono stati capaci di creare una narrazione alternativa a quella dell'Isis. Solo una semplice controinformazione, che – sembra un paradosso, ma non lo è – ha di fatto amplificato il messaggio del Califfato.
Se quella è la breccia che i terroristi hanno trovato per insinuarsi in modo ancor più subdolo e silenzioso, e per arrivare anche a chi nulla sa della più estrema ideologia wahabita, se quella è la breccia, appunto, è necessario intervenire anche lì. L'impotenza che ha caratterizzato l'Occidente rispetto all'impatto mediatico dell'Isis è davvero sconcertante.
Anche perché tutto si svolge alla luce del sole. Non nei meandri del deep web (il web profondo e che sfugge spesso a qualsiasi tipo di controllo). Il loro messaggio è lì, basta un clic. E l'idea che chiunque, anche qui, anche una persona che incontrate tutti i giorni, può leggere quelle incitazioni e lasciarsi influenzare, non può che suscitare inquietudine.
di Luciano Trapanese