Avellino

I sorrisi più belli appartengono alle vite più difficili. L'ho sempre pensato. Lo credo tuttora. Questa mia convinzione ha nome e cognome: Marika Polcaro.

Occhi grandi e sorriso radioso. Un sorriso che nasconde tanto. Ma tanto è dir poco.

Marika combatte quotidianamente con un qualcosa di molto più grande. Una forza distruttrice. Ma in questa storia è lei l'unica vera forza. Ebbene sì, lottare contro la leucemia rende forti. Specialmente quando si ha 17 anni.

La grinta. Il coraggio di gridare in faccia a una vita apparentemente finita. La voglia di restare in piedi nonostante i continui colpi. La tenacia di guardare dritto negli occhi la malattia e sfidarla.

Insomma, il ritratto di una guerriera. Marika ama definirsi così. E lo è. Lo è per davvero.

Paradossalmente è come se fosse stata la malattia a farle amare la vita. «La leucemia mi ha dato una motivazione valida per rimanere su questa Terra. Prima che io mi ammalassi ero come morta. La malattia mi ha dato alla luce», confessa la ragazza. Più la leucemia la attacca, tanto più lei si difende. Incredibile. La si può definire un esempio di vita. Non solo per chi è ammalato. Per tutti.

Discuterne con lei, mi ha aperto gli occhi. Ora guardo il mondo in modo diverso. Ho compreso che la vita ha un valore inestimabile. Ho capito che esistono problemi più seri di un "visualizzato" senza risposta ai messaggi su whatsapp.

La leucemia bussa alla sua porta 9 mesi fa, alla fine di agosto. Non si fa notare subito. Anzi, inizia a entrare nella vita di Marika di soppiatto. Senza far rumore. «Inizialmente si pensa a una banale influenza stagionale - comincia a raccontarmi -, però la continua e incontrollabile stanchezza suscitò sospetti», continua. Sospetti che la portano a sottoporsi a svariate analisi. Analisi che la conducono nell'azienda ospedaliera "San Giuseppe Moscati" di Avellino. Qui avviene il primo distacco dal suo tanto amato paese di provincia, Candida.

Diciassette settembre 2015. Gli infermieri varcano la soglia della stanza dove Marika è ricoverata.

«Mi informarono che da quel preciso istante avrei dovuto portare al collo un catetere venoso per la somministrazione dei farmaci - dice -. Non sapendo bene di cosa si trattasse, decisi di domandare delucidazioni alla mia compagna di stanza.» Le spiegazioni della ragazza sono chiare. Quell'aggeggio viene fatto indossare al paziente soltanto in caso di leucemia. Così la terribile scoperta.

Immediato il trasferimento al reparto di oncologia pediatrica dell'ospedale "Santobono Pausilipon" di Napoli. Ventiquattro settembre 2015. Marika compie 17 anni. «Purtroppo tempo di festeggiare non ce n'era poiché nello stesso giorno iniziò il ricovero effettivo», spiega con una leggera amarezza.

La cosa sorprendente è che tutto ciò è stato devastante per le persone accanto. Ma non per lei. «E' stata l'unica a non versare una lacrima. Lei ha dato la forza a noi», afferma Carmen, la sorella. Ed è così.

Il malessere peggiora giorno dopo giorno. I continui cicli di chemio cominciano a fare effetto: cadono i primi capelli. «Ciocca a ciocca, diventavano sempre di meno fino a scomparire quasi del tutto - racconta confidenzialmente -. Ho sempre avuto una folta chioma di capelli ricci. Mi piacevano ma non ho dato molto peso alla loro perdita. Il mio unico punto fisso era battermi per la salvezza. La mia salvezza».

Costretta a indossare mascherina e guanti, Marika si sente un pesce fuor d'acqua. «Nessuno poteva farmi visita eccetto i miei genitori. Mi andava bene così. Non volevo mostrarmi davanti a tutti in quelle condizioni. Non volevo far soffrire le persone a cui voglio bene», conferma. Tuttavia gli amici le donano ugualmente un gran supporto con chiamate e sms. Ciononostante, la voglia irrefrenabile di vincere contro la leucemia è più forte di tutti i danni psicologici subiti.

Non si arrende nemmeno in ambito scolastico. Malgrado l'abbandono temporaneo della scuola, decide di prendere lezioni con un'istruzione domiciliare. «Un'ora al giorno era dedicata allo studio», sentenzia.

Passano dei mesi. Marika scopre una seconda famiglia. Dottori, infermieri e pazienti nelle sue stesse condizioni, si rivelano affettuosi. Regali e feste sono all'ordine del giorno. «Lì, in quell'ospedale, vive una parte del mio cuore. Ogni volta che ci ritorno mi accolgono sempre con grande esultanza», mi confida soddisfatta.

«L'assunzione di farmaci ricopriva la maggior parte del mio tempo - incalza -. Venticinque erano le pillole giornaliere di cortisone. A queste si aggiungevano quelle per la pressione e per il sangue. A subirne gravi conseguenze è stato il fegato che non riusciva a eliminare tossine. Ma non mi davo per vinta».

Ormai sa che uscita da quel reparto non sarà più la stessa. E' cambiata. La sua prospettiva è diversa. Un qualcosa nasce dentro l'animo. La scoperta della fede in Dio. «Non la considero una punizione. Se Lui mi ha dato questa prova è perché sapeva che l'avrei sconfitta», spiega la guerriera.

Al di fuori della professionalità dell'equipe medica, la diagnosi principale di Marika è la gioia di vivere. Ha fatto sì che la depressione non prendesse posto nella sua quotidianità. Il suo unico obiettivo è vincere la malattia. «D'altronde io interiormente non mi sentivo malata. La leucemia ha danneggiato il mio corpo. Non me», afferma fiera di sé.

Vincere. Vincere per sé stessa. Vincere per il suo orgoglio. Vincere per mamma e papà. Vincere per chi non ce l'ha fatta.

Il tempo scorre. Ore interminabili. L'ultimo controllo al midollo osseo dopo innumerevoli terapie. Esito positivo. Il midollo risulta pulito. Nessuna traccia di cellule tumorali. «Potevo ritornare alla normalità. Finalmente potevo respirare aria di casa mia - riferisce Marika tirando un sospiro di sollievo -. Nonostante io sia guarita, le visite mediche non terminano ancora - continua - devo puntualmente sottopormi a controlli una volta ogni due settimane e assumere una pillola che ha gli stessi effetti della chemioterapia», conclude. Tutto ciò continuerà per altri quattro anni. Arco di tempo sufficiente affinché la malattia si ripresenti.

Oggi Marika collabora con l'azione cattolica e ha progettato di conseguire il diploma all'istituto alberghiero di Avellino.

Le chiedo un appello da fare a tutti gli adolescenti malati di leucemia. Mi risponde così: «Una volta scoperto di aver la leucemia, non pensate sia finita lì. Al contrario, è proprio lì che si inizia a vivere».

Mariagrazia Mancuso

(del gruppo di ragazze che ha frequentato il corso di Ottopagine nell'ambito dell'iniziativa scuola/lavoro)