Avellino

 

di Luciano Trapanese

Un mercato di voti. Posti da super precario per un pacchetto di preferenze. Scambi, favori. Lo scandalo mai troppo approfondito degli abusivi nelle case popolari: altro serbatoio utilizzato da personaggi senza arte né parte per occupare stabilmente uno scranno nel consiglio comunale. Lo sfascio della politica cittadina parte da lì, da quel cancro che si è esteso e alimentato di continuo, soprattutto nell'ultimo decennio. E' la degenerazione di una degenerazione. Dalle clientele – male endemico di questa provincia -, a qualcosa di peggio: una compravendita elettorale, con il coinvolgimento di quella zona grigia delle città che mesta nel torbido dell'illegalità (per non dire del crimine).

Tra le tante inchieste avviate dalla procura sul comune, quella sullo scambio di voti è di certo l'indagine che più suscita l'interesse degli avellinesi. Non per manie giustizialiste e neppure per il desiderio morboso di appendere alla croce della gogna pubblica gli eventuali colpevoli. Ma soprattutto perché il male che sta uccidendo la città risiede in gran parte lì. In quell'intreccio perverso tra ambiziosi politicanti senza qualità, personaggi privi di scrupoli pronti a sfruttare chi chiede un “aiuto elettorale”, dirigenti e burocrati che muovono da anni le vere leve del potere in municipio (spesso alle spalle di sindaci e assessori), e malaffare che ha inquinato ogni singola decisione amministrativa. Un circolo vizioso che massacra il capoluogo, reso ancor più drammatico dalla scadente qualità di chi è chiamato (con sistemi paralegali), a gestire la macchina pubblica.

E' in questo contesto che lo sparo ad alzo zero contro il sindaco Foti ci sembra gratuito e fuorviante. Non perché il suo governo della città non lo meriti: ha ereditato delle macerie e rischia di lasciare le macerie delle macerie. Il problema è un altro: l'addio di Foti non presuppone d'amblè la fine di quel sistema che ha dato il là all'inarrestabile declino avellinese. O davvero immaginate – come pure scrive qualcuno – che passare dalla regia deluchiana a quella demitiana, utilizzando personaggi perfettamente integrati allo stesso sistema che ha annichilito Foti, garantisca alla città di voltare pagina, di aprire una nuova era? Non crediamo. Nessuno è così ingenuo. Neppure chi passa il tempo a scrivere, senza ombra di vergogna, delle magnifiche sorti progressive dell'Irpinia ai tempi del demitismo dominante. Se proprio vogliamo essere chiari, la vera radice del male è proprio lì, in quella scientifica politica delle clientele che ha assicurato anni di successi elettorali. E devastato il concetto di politica e di cosa pubblica per intere generazioni. Alimentato il parassitismo, fiaccato l'iniziativa individuale, imposto l'attesa del posto fisso previa raccomandazione come stile di vita, come massima ambizione.

Quando la politica non è stata più in grado di assicurare nulla (posti di lavoro e la sicurezza di vincere concorsi pubblici), il sistema da marcio è diventato putrescente, generando l'attuale drammatica situazione avellinese.

Ora, immaginare che tutto possa cambiare solo sostituendo Foti non è una illusione. E' una follia. Si continuerà a rovistare nelle macerie, con personaggi che da anni (se non decenni), siedono allo stesso banchetto. E magari, oggi, si sono opportunamente posizionati sulla sponda dei duri e puri. Hanno uno scopo fin troppo sgamato: schiaffeggiano Foti fingendo di indossare l'abito buono della pulita intransigenza.

Il dopo Foti che immaginano è in perfetta sintonia con Foti e con quello che c'era prima. Sono tutti nati – gli ormai noti aspiranti successori – nello stesso brodo clientelare. Vivendo e animando l'attuale ulteriore degenerazione.

Sparare su Foti è inutile. E' l'intero sistema di potere che deve essere rovesciato. E per farlo gli avellinesi devono uscire dal torpore. Segnali di risveglio ci sono stati. Ma è ora che devono manifestarsi davvero. Lasciare la città in mano ai soliti noti e allo stesso sistema è l'ultimo estremo atto di un lungo suicidio collettivo. L'inchiesta della procura, su questo punto – il voto di scambio – può sollevare gli ultimi veli e dare una definitiva scossa a una città che non può morire.