Benevento

«Città Spettacolo è il nome proprio di una manifestazione con una sua identità e una sua specificità. Per il rispetto che si deve a una lunga, storia, evento che ha attraversato decenni e ha resistito all’alternarsi di amministrazioni di orientamento e sensibilità diversi; per il rispetto che si deve a una manifestazione che ha visto alternarsi sui palcoscenici della città i più grandi interpreti del teatro italiano, per il rispetto che si deve ai direttori artistici, ricercati sempre con un profilo alto di esperienza e di professionalità elevata; sarebbe semplicemente corretto e giusto affermare il ciclo di Città Spettacolo è finito, perché si intende lavorare su altri percorsi ed obiettivi».
Così una nota di Mezzogiorno Nazionale interviene sul festival Benevento Città Spettacolo. 

«Città Spettacolo - si legge ancora - , nel corso di un trentennio e più ha sviluppato temi e forme diverse ma è rimasta sostanzialmente se stessa, cioè un evento finalizzato alla valorizzazione del teatro italiano. Quel che negli anni ha qualificato la città e ne ha determinato il protagonismo e l’attrattività, è stata la scelta di una piccola realtà del Sud di investire su un pilastro della cultura. Una scelta pensata, non per la città ma dalla città per la comunità nazionale.
E’ giusto affermare che negli ultimi tempi, in particolare, la manifestazione si era ripiegata su se stessa ed aveva perso la spinta propulsiva degli anni migliori. 

In tal senso, la vera novità sarebbe stata un recupero dell’impostazione originaria che rendeva unica Città Spettacolo, cioè la co-produzione di opere prime e la diffusione del brand città con la rappresentazione delle opere stesse.
Vista la sostenibilità finanziaria, si sarebbe potuto concentrare le risorse su due co-produzioni, magari una di un autore esordiente e per il resto recuperare il modello popolare diffuso, sulla falsariga delle “Molliche” di Montecchi.

Invece, si sta seguendo tutt’altra strada.  Il rap, i concerti, i recital, il Cotto e il Crudo sono sicuramente cose interessanti e digeribili ma rappresentano una trama diversa, un racconto altro. E’ evidente che, anche per la direzione individuata,  ci troviamo di fronte non a una trasformazione ma a una trasfigurazione di Città Spettacolo.

Quel che colpisce è l’omologazione del silenzio, salvo pochissime eccezioni. In altri periodi, scelte così rilevanti, sul piano simbolico, culturale e politico, avrebbero determinato mobilitazione e indignazione. Brutto segno, quando sulla cultura c’è appiattimento e non dissenso. Vuol dire che siamo entrati nel tempo grigio del grande conformismo».

 

Redazione Bn