Castellabate

L'allenatore del Brasile campione del mondo per la prima volta, quello di Pelé 17enne, ha i genitori cilentani. La nostra storia inizia più di un secolo fa. I Feola sono una coppia come tante, lui artigiano e lei contadina. Abitano a Castellabate, paesino cilentano con un clima ridente, ma decisamente povero all'inizio del 1900. Così, la coppia, ancora molto giovane, emigra verso il Brasile in cerca di fortuna. E' qui che nascerà il loro primo figlio, Vicente Italo Feola (cognome decisamente cilentano), quello che cambierà la storia del Brasile calcistico e non solo. E resterà sempre attaccato alla sua terra d'origine, il cilento. (GUARDA IL VIDEO)

Ma come ha potuto Feola arrivare ad sedersi sulla panchina di quella che sarebbe stata consegnata alla storia come una delle miglior squadre di tutti i tempi?


UNA SCONFITTA DA SUICIDIO E UN BAMBINO

1950. Il mondiale si gioca proprio in Brasile. Una chance da non fallire. Per il flusso di soldi e attenzioni mediatica che avrebbero investito il Brasile e per l'occasione di riscatto che rappresentava per un popolo oppresso dalla miseria. Inutile dire che la nazionale verdeoro partiva con tutti i favori del pronostico.

La squadra di casa arriva alla partita finale (all'epoca alzava la coppa chi vinceva il torneino a quattro squadre), che si gioca nel prestigioso Maracanà, lo stadio più grande del mondo, primato rubato proprio in occasione dei mondiali al Wembley di Londra. Ma la partita della leggenda, si trasforma in dramma. Il Brasile può anche pareggiare, guida infatti il girone a sei punti mentre a quattro c'è L'Uruguay e ormai distanti Spagna e Scozia. Contro ogni pronostico i brasiliani perdono contro una squadra di sconosciuti che aveva viaggiato in barca facendo una colletta per arrivare al mondiale, proprio l'Uruguay.

Prima Schiaffino e poi Ghiggia disegnano la cornice di una notte drammatica che viene ricordata come il Maracanazo. Un disastro non solo sportivo: quella notte fra San Paolo e dintorni fu registrata un'altissima percentuale di suicidi. Se ai lettori di oggi una simile importanza data al gioco del calcio potrebbe sembrare assurda, bisogna immaginare un paese estremamente povero, oppresso dalla politica statalista, e insignificante a livello internazionale, dove il calcio era l'unica forma di riscatto. Doveva essere la ribalta e invece quella partita di fatto rappresentò l'ennesima mazzata al cuore dei brasiliani. Ci metteranno otto anni per rialzarsi.

Intanto nelle periferie di Rio, un bambino, che racconterà questa storia molti anni dopo, cercava di consolare il padre ex calciatore straziato dal dolore. Abbracciando il genitore ripeteva, “Tranquillo papà, ti prometto che vincerò quel mondiale per te”. Inutile dire che il padre sorrise non certo perché ci credeva, ma perché pensava che i bambini andassero lasciati liberi di sognare. Il ragazzino, si chiamava Edson Arantes do Nascimento in onore dell'inventore della lampadina, ma anni dopo lo avremmo conosciuto tutti come Pelé.

IL GRASSO E I RAGAZZINI TERRIBILI

Feola nel 1950 ha già appeso le scarpe al chiodo da dodici anni. Qualcuno dirà per la pancia prominente che gli valse il soprannome di gordo (grasso). E si è messo a fare l'allenatore con risultati più che discreti. Conduce il San Paulo alla conquista di due campionati paulisti (l'equivalente dei nostri scudetti). La nazionale, dopo il dramma del 1950, sta affrontando il periodo della ricostruzione. Si scontrano due scuole di pensiero: la prima, afferma che la sconfitta al mondiale casalingo sia frutto dello stile di gioco dei brasiliani, troppo primitivo ed istintivo, destinato a soccombere contro il metodo scientifico che si sta largamente imponendo in Europa e che caratterizzava anche l'Uruguay campione del mondo: grande attenzione alla difesa, linee strette e enorme praticità in avanti. Dall'altro lato ci sono i conservatori, quelli che vedono nello spettacolo la prerogativa distintiva del calcio brasiliano. A prevalere furono i rivoluzionari.

Nel 1954 il Brasile subisce un'altra grande sconfitta ad opera dell'Ungheria di Puskas ( che con il Real di Di Stefano sta dominando il mondo): il cannone ungherese farà spezzatino della fragilità dei brasiliani ancora intontiti dal disastro di quattro anni prima e in fase di costruzione. In questo periodo però esordisce un giocatore brasiliano destinato a diventare leggendario, Garrincha. Ala destra da tanti considerata la migliore di sempre: fantasia straordinaria corroborata da uno scatto fulmineo e un dribbling ubriacante reso ancora più imprevedibile dalla deformazione di una delle due gambe, quella sinistra più corta della destra a causa di un difetto congenito.

Per capire di fronte a che tipo di personaggio ci troviamo basterà riportare ciò che di lui dicevano gli amici. Mané firmava i contratti in bianco, episodio che gli è valso anche un divorzio. Dopo il trionfo del mondiale del 1962 vinto senza Pelè con Garrincha grande stella, fu chiesto al giocatore cosa desiderasse di più al mondo. Gli altri calciatori risposero chi una casa, chi un'auto, i più sfacciati una donna, Garrincha chiese al presidente del Brasile di liberare la colomba che teneva “prigioniera” in casa. Mané era così, morirà alcolizzato e solo, dopo aver fatto sognare per anni il mondo intero.

SCELGO LORO NONOSTANTE LO PSICOLOGO

Nel 1957 il Brasile è pronto alla prova del fuoco della Coppa America (l'equivalente dei nostri europei in terra SudAmericana) per poi affrontare il mondiale l'anno dopo. Il tecnico Silvio Pirrilo è costretto a vivere la stessa trama che anni prima aveva divorato il suo predecessore Costa durante i mondiali del 1950. Una cavalcata trionfale fino alla sfida decisiva dei cugini sempre odiati, gli argentini che all'epoca si affidano al trio di angeli con la faccia sporca: Maschio, Angelillo e Sivori che a Torino sta contribuendo a costruire la prima parte della leggenda juventina. E' un 3-0 che non ammette repliche, il Brasile è davvero destinato a perdere.

Via Perrillo, la federazione brasiliana è alla canna del gas. Chi chiamiamo? Non esiste in Brasile un pazzo disposto ad accettare quel posto. Dopotutto il mondiale svedese è il primo che la squadra sudamericana deve affrontare in terra europea, si accontenterebbero tutti di una figura dignitosa, sanno che vincerlo è impossibile. E allora chiamano proprio Feola, il tecnico pacioso e saggio che accetta.

Vengono passati sotto la lente di ingrandimento oltre duecento calciatori sottoposti a esami che poco hanno a che fare col calcio giocato: il metodo scientifico dà molto più peso ad esami che valutano la qualità dei denti, la sudorazione e soprattutto la psichiche dei giocatori. Tanti non superano l'esame dello psicologo. E anche due giovani, poco prima di partire per la Svezia, vengono considerati inadatti: sono Garrincha e l'allora sedicenne Pelé. Non conta il fatto che quest'ultimo sia il più giovane capocannoniere di sempre del campionato brasiliano, al sua personalità “infantile, carente sul piano intellettuale e primitiva”, come quella di Garrincha, si sarebbe di certo sciolta di fronte alle pressione degli esperti rivali europei.

Fortunatamente per il gioco del calcio, Feola fa prevalere valutazioni differenti e decide di portarsi dietro entrambi i ragazzi, Garrincha che ha ventiquattro anni e Pelé che ne compirà diciassette durante il mondiale. Anche se entrambi sono delle riserve.

UN ESORDIO INDIMENTICABILE

L'esordio è con l'Austria. L'undici titolare: Gilmar; De Sordi, Bellini ,Orlando ,Nilton Santos; Dino, Didi; Joel, Altafini, Dida, Zagalo. Un 4-2-4 che regala ai verdeoro uno rotondo 3-0 ma che non convince l'esperto Feola. L'attacco non è incisivo come vorrebbe, eccetto Didi centrocampista geniale che molto prima del Barcellona di Michel e Cruijff affermava, “a correre doveva essere la palla” .

Con l'Inghilterra il primo cambio, via Dida dentro il generoso e irruento centroavanti del Vasco De Gama, Vavà. Con gli inventori del calcio moderno finisce 0-0 ma con tanti patemi: nel secondo tempo infatti il portiere Gilmar è costretto a far calare più volte la saracinesca con prodezze che tengono il risultato inchiodato in parità. A questo punto Feola è sempre più convinto che serva una rivoluzione davanti, e quei due ragazzini bocciati dallo psicologo, continuano ad incantare in allenamento. Ma, l'esperto allenatore, sa anche che c'è un equilibrio di gruppo da mantenere e allora organizza una riunione interno nel quale lascia la parola ai senatori, che anni dopo racconteranno di essere stati “ammaestrati” su quello che dovevano dire. Didi, Nilton Santos e Bellini, bocciano Dino Sani, Altafini e Joel, spingendo per l'inserimento di Zito, Garrincha e Pelé.

Contro l'Urss esordisce il Brasile definitivo:  Gilmar; De Sordi Bellini Orlando Nilton, Santos; Zito Didi; Garrincha Vavà Pelé Zagalo. Proprio sulla condizione del 10 brasiliano, si raccontano diversi aneddoti. Tutti concordano che Pelé si portava ancora dietro lo strascico di infortuni precedenti e fu letteralmente resuscitato con massaggi, erbe speciali e tanto ghiaccio. Poi, e questo l'ha confessato Didì, pare che “O Rey” vomitò due volte per la tensione. Comunque sia andata, l'Unione Sovietica fu letteralmente annichilita e i primi cinque minuti di partita sono ricordati come i più belli del calcio.

Garrincha servito da Didì fa fuori il suo marcatore sulla fascia e senza pensarci su spara un missile contro la porta avversaria. Palo. Jascin, il ragno nero, all'epoca miglior portiere al mondo e unico estremo difensore ad aver vinto il pallone d'oro nella storia, rinvia lungo, ma il centrocampo brasiliano recupera velocemente palla. Ancora cambio di gioco su Garrincha, siamo al secondo minuto, altro dribbling secco del giovane con le gambe storte, passaggio a Vavà, altro tiro altro palo.

L'Urss è già alle corde e al quarto minuto si concretizza quanto anticipato. Di nuovo Garrincha, poi Pelé quindi Vavà sul cui tiro Jascin non può davvero nulla. Brasile in vantaggio. Seguiranno almeno altre dodici palle gol sulle quali il portiere sovietico mostrerà le doti che lo hanno reso leggendario. L'uomo che in fabbrica acchiappava a volo i bulloni lanciati dai colleghi, para di tutto, ma non potrà però nulla contro la caparbietà di Vavà che si regalerà una doppietta. Mentre Pelé mostrerà già tutte quelle doti che lo consacreranno all'Olimpo del calcio: dribbling, testa alta, passaggi millimetrici e una fantasia senza eguali. Feola se la ride.

QUEL RAGAZZINO E' UN GENIO

Ai quarti di finale c'è il Galles di Charles, il gigante che con Sivori a Torino sta facendo magie. La partita è tiratissima, e sembra procedere verso i supplementari, poi Pelè si inventa un controllo da antologia del calcio che termina in un diagonale imparabile. Il diciassettenne più famoso del mondo scoppia in lacrime mentre, il solito Didì, lo va ad abbracciare. La semifinale con la Francia è una partita epica che non avrà storia. Per Feola c'è da battere la squadra del capocannoniere dei mondiali (record tutt'ora imbattuto con 13 reti in sei partite) e il miglior giocatore francese di sempre prima dell'avvento di Platinì, Just Fontaine. Due minuti e i verderoro passano. In quest'azione è riassunta la capacità tattica di Feola e l'assoluta genialità dei brasiliani. Recupero palla della difesa che gioca altissima, poi lancio lungo, quindi triangolo in un fazzoletto di terra fra Didì-Garrincha-Pelè, tre tocchi da far vedere in tutte le scuole calcio, palla che arriva al solito Vavà che non può sbagliare, e non sbaglia.

Fontaine però è duro a morire e sette minuti dopo gela Gilmar, fino ad allora imbattuto. Poi, comincia lo show verdeoro facilitato anche dall'infortunio di Jonquet che si frattura il perone. Sale in cattedra Dìdì che segna con uno dei suoi tiri imprendibili carichi d'effetto che lo avrebbero fatto entrare nel novero dei presunti inventori della “foglia morta” (una traiettoria imperdibile data dal contatto di sole tre dita del piede col pallone). Tiro che Didì aveva adottato dopo un infortunio in allenamento che gli impediva di calciare di collo. Poi è il Pelé show, tre gol, e tutti casa. Con la magra consolazione per i francesi della rete targata da Piantoni, che fisserà il risultato sul 5-2.

ALLA CONQUISTA DEL MONDO

E' ora della finale. I padroni di casa della Svezia mostrano la loro migliore versione di sempre: un undici titolare che trova nel “Barone” Nils Liedholm la sublimazione di tattica ed equilibrio. Apre le danze proprio lo svedese che regalò tante gioie al Milan da giocatore e da allenatore, nonché alla Roma con la storica finale della Coppa Campioni persa sempre da direttore tecnico. I giovani hanno un attimo di smarrimento, ma Didì poi nominato miglior giocatore del torneo, li richiama all'ordine. Anche Feola fa segno ai suoi di giocarla come sanno, più rapidamente davanti. E i verdeoro eseguono.

Garrincha mette il turbo, solito dribbling ubriacante, palla al centro, la fine ormai la conoscete: segna Vavà che pochi minuti dopo raddoppia. Quindi è la volta di Pelé fare a storia. Riceve palla al limite d'aria, sombrero aereo sul suo marcatore e tiro a volo che si incastona nel sette. Tre a uno, Brasile in vantaggio e in corsa verso la gloria. Gloria che assume contorni leggendari, con il 5-2 finale che vede Pelé riandare a rete e Zagalo centrare il primo gol del suo mondiale. Esplode la gioia verdeoro, il Brasile è in festa. Feola entusiasta entra nella leggenda, a lui il merito non solo di aver consegnato il primo storico trionfo mondiale ai brasiliani, ma anche di aver rivoluzionato il gioco.

Nelle successive tre edizioni della coppa del mondo, il Brasile vincerà infatti altre due volte e riuscirà a collocarsi nell'immaginario collettivo come quella squadra votata allo spettacolo e al gioco ballato che riesce ad affiancare alla fantasia dei brasiliani, la praticità vincente di un verdeoro di origini italiane, il gordo, mister Vincente Italo Feola.

Andrea Fantucchio