Riassunto delle puntate precedenti. Leo insieme a Mario e il Pisano su ordine di Ciro, il capoclan, uccide per errore il figlio del boss Aniello Riccio. Il rifugio da Anna, un'infermiera. La sparatoria e la fuga nella casa al mare. L'arrivo dei carabinieri e la corsa verso il porto. L'incontro con Tonino, poi la decisione: andare da Barbara...
Settima puntata (leggi anche – prima puntata – seconda – terza – quarta – quinta - sesta)
di elleti
Tengo le mani sul volante con l'incubo delle guardie. La macchina pippea, quasi un annuncio del motore che sta per schiattare. Ma non si ferma, proprio come quelli che stanno per morire, e uno gli fa pure l'estrema unzione, ma campano per scommessa e i parenti c'hanno già accattato i fiori e chiamato il tavutaro dicono a tutti, quasi per scusarsi: non vi preoccupate, solo un altro poco... Però dietro mi lascio una scia di fumo nero che mi pare di essere una freccia tricolore a lutto. Dove passo si girano a guardare, ma nessuno può pensare che sono un fetente con le pistole.
La casa di Barbara s'è fatta ancora più brutta. Tiene pure un giardino. Sembra una foresta per zoccole e serpenti. Sto per bussare, ma la porta è aperta. Entro. Singhiozzi. C'è una femmina che piange. L'ho vista stesa sul pavimento, tra il letto e un termosifone arrugginito. Barbara ha gli occhi a palla e la bocca che butta sangue. Il sangue pure in faccia, dove le scendono lacrime rosse.
Che ti è successo?
Mi ha guardato come si guarda un fantasma che non fa paura.
Questa volta sei arrivato tardi...
In verità pure l'altra volta non avevo fatto in tempo. Tre rumeni del cazzo l'avevano menata perché non voleva più fare la puttana per strada. O questo o muori, le avevano detto. Ma quella non ha mai avuto paura, ma mica perché è coraggiosa, è che tiene una testa di cazzo e spara parole senza pensare alle conseguenze. E la conseguenza è stata che l'hanno così intommata di mazzate che quando l'ho trovata era una mappina con la faccia a melone. In quelle condizioni più che un pezzo di fica era un pezzo di carne arravugliata. Quasi come ora. Però all'epoca le avevo dato soddisfazione. Con Giggino mezzacapa siamo andati a cercare i tre stronzi. Stavano in una casa vecchia, ma tenevano il mercedes. Come tutti i ricottari. La porta era un poco di compensato vecchio. L'ho sfondata facile con un calcio. Ci siamo trovati dentro con i ferri in mano e quelli stavano ancora seduti, l'occhio lucido per le canne e la bocca aperta per la sorpresa. Abbiamo sparato a due nelle cosce. Il terzo s'è messo quasi a piangere. Gli ho ficcato la pistola nella gola e intonato la messa cantata su Barbara che non si tocca. Quello faceva sì con la testa. Gli ho spaccato la faccia col calcio della scartellata e gli abbiamo fatto bye bye. Alluccavano tutti in mezzo al loro sangue. Non li abbiamo più visti...
Questa volta è stato uno della zona. Ha visto che la ragazza faceva monei con la pala e si è messo in mezzo. Soldi pure a me o ti squarto. Barbara l'ha mandato a cacare e quello ha fatto lo sciov e se l'è pure fottuta con la forza. Le ho ripulito la faccia, medicato le ferite. Pareva quasi normale.
Me lo devi fare questo piacere Leo. Me lo devi fare...
Ho capito...
Pensavo a una cosa come i rumeni.
Leo, una cosa definitiva. Quello deve morire nella merda sua.
Quello era un fesso di un paese vicino. Un ricottaro che prestava soldi a strozzo. Era una chiavica pure come fetente. Per pochi euro era cazzo di menare a sangue una vecchiarella. Le ho promesso che lo scamazzavo.
Ci devo stare pure io, adda murì sott' a me.
S'è fatta ancora più tosta. Sopra al comò tiene una foto della festa al Piccadilly, la discoteca di Ciro Abbagnale. Era la notte che l'ho conosciuta. L'avevano chiamata per fare un poco di scena e allegriare qualche invitato. Teneva una minigonna nera e sotto due cosce lunghe incollate a un culo sincero. La parte di sopra già la conoscete: due tette che sputavano in faccia al mondo l'orgoglio di essere due tette così. Insomma, s'è capito, mi piaceva assai. E' finita che non ha allegriato nessuno oltre me. Ci siamo visti spesso. Ma lei faceva il suo mestiere e io il mio. Non ci potevamo mischiare col sentimento. E allora ci siamo mischiati nell'unico modo possibile. Poi lei si è messa in proprio ed è venuta in questo cesso di paese.
Siamo andati a cercare il ricottaro. Gaetano Martella, uno brutto come la peste. E' uscito da un bar, vestito come un pezzente. Ha salutato qualcuno poi se n'è andato a casa, a piedi. Lo abbiamo seguito. Ho bussato alla porta. Barbara teneva un occhio gonfio e nero, il labbro inferiore spaccato. Era bella uguale. Il tipo ha aperto, ci ha accolto con un grugnito. L'ho spinto dentro e cacciato il ferro. Abita in una villetta ancora più cessa di quella di Barbara. Non ci ha visto nessuno.
Stronzo, pensavi di passarla liscia. Che, ti bastava farmi una faccia di schiaffi e io facevo la zoccola per te?
Lei stava così incazzata che tremava. Una furia. Ho spaccato la testa al ricottaro con il calcio della pistola. Stava a terra, piagnucolava.
Si nu schif' e omm'...
Barbara era in piedi, sopra la sua testa. Ho pensato che da là sotto la vista doveva essere arrapante. Ha sollevato una scarpa e gli ha schiacciato il visto con la suola.
Lecca stronzo...
Quello ha leccato pure. Sperava bastasse. Una umiliazione, qualche altra mazzata e via. Si sbagliava. Barbara ha spostato la scarpa. Poggiato un tacco a spillo sulla carotide del pappone. E guardandolo negli occhi, con un sorriso gelido, gliel'ha ficcato tutto dentro. Il sangue zampillava per la stanza. Pareva una fontana rossa. Lei lo ha guardato morire, sempre con lo stesso sorriso.
Ora dobbiamo andare. Qui non è più aria. Vengo con te, pure se tieni guai grossi.
Lo ha detto che non si poteva dire no. Siamo usciti. Lei ha fatto una valigia veloce. Siamo partiti con due macchine. Quella rubata sta ora dentro un canalone. E con la sua siamo tornati verso la città.