Riassunto delle altre puntate. Leo insieme a Mario e il Pisano su ordine di Ciro, il capoclan, uccide per errore il figlio del boss Aniello Riccio. Il rifugio da Anna, un'infermiera. La sparatoria e la fuga nella casa al mare. L'arrivo dei carabinieri e la fuga verso il porto...

 

Sesta puntata (leggi anche: prima puntatasecondaterzaquarta - quinta)

 

di elleti

Tonino stava seduto sul pennello, quella lingua di cemento che si allunga dentro il mare. Tra qualche mese sarà pieno di gente che piglia il sole. La stessa gente che manco ci pensa ad andare nei lidi o in vacanza. Quando eravamo piccoli ci stavamo pure noi, che non andavamo sui lidi e neppure in vacanza. Passavamo il tempo a tuffarci a bomba, a ridere come scemi e fare i bellilli con le ragazzine.

Tonino m'ha visto arrivare, ma non s'è mosso. Teneva la faccia appesa. Ma lui la faccia appesa la tiene sempre. Ora era appesa e triste. «Leo, facimm' ampress'. Tu ti porti la morte addosso». Lo ha detto che neppure mi ha guardato in faccia. Ho respirato la salsedine. S'è sentita la sirena di una nave. Poco lontano un vecchio pescatore. Dietro uno scoglio una coppia che smaniava. E nessun altro. Tonino non mi ha cantato. Mi sono seduto accanto a lui.

Fratè, sta vot' l'hai fatta grossa...

Lo so. Tu che hai saputo?

Che la gente di Riccio ti cerca per mare e per terra. E non solo loro...

Devo andarmene...

Non è facile. Quelli stanno a tutt' part'. Se metti piede al porto, cinque minuti e ti trovi una canna di ferro in bocca.

Via mare è escluso?

Da qui scordatelo... Sanno che siamo amici, m'hanno detto: se aiuti quella merda fai la stessa fine. Tu e i tuoi figli.

Mi servono documenti puliti.

Li fanno loro, lo sai. Fanno tutto loro.

Lo so.

Come stai a soldi.

Non arrivo a cento euro.

Mettici pure questi cento. Ma non farti più vedere. Mi sento una chiavica, ma non ci sta niente che posso fare per te.

Lo sapevo. E non era colpa sua. Si guardava continuamente attorno. Teneva la paura dentro agli occhi. Gli ho detto grazie e sono andato via. I ferri nei pantaloni. Li ho toccati, ma non mi sono sentito più sicuro. Diceva mia mamma che l'omm' s'abitua a tutto. Mi volevo abituare pure io a fare il morto che cammina. E strapparmi questa cazzo di paura da dosso. Ma quella non se ne va. Soprattutto ora, che non tengo un posto sicuro, lontano da Riccio e dagli animali come lui. Poi ho ripensato a mamma. Sta a casa, lei e mio fratello. M'è mancato il respiro. Come cazzo avevo fatto? Come cazzo avevo fatto a scordarmi di loro?

Ho piantato la pistola nella testa di uno che stava aprendo lo sportello di una macchina. Una Fiat Punto bianca, vecchia e sporca. L'ho fatto entrare dentro, si è spostato sul sedile accanto al posto di guida. Ha scamazzato un pacchetto di sigarette e una guantiera di dolci. Guardava la canna puntata in mezzo agli occhi. Ho accelerato. Qualche chilometro dopo, aperta campagna. Gli ho detto di scendere. Si stava pisciando sotto. Una botta in testa, col calcio della pistola. E' svenuto senza neppure un lamento. Ho legato le sue mani dietro la schiena con i lacci delle scarpe e l'ho trascinato dietro le canne. Poi sono andato via.

Venti chilometri dopo. Autogrill. Schiuma da barba, lamette, e occhiali da sole. Sono entrato nel cesso con la faccia di Leo. Sono uscito con una faccia di cazzo. Che poteva anche non essere di Leo. Ho preso un caffè. Guardavo ovunque. Poi ho visto quel pezzo di fica bruna. Teneva in esposizione un paio di tette trattenute a stento da una camicetta bianca troppo stretta e troppo sbottonata. Una visione. Forse una via d'uscita. Ho pensato a Elena, pure lei è bruna. E pure lei porta a spasso per il mondo lo stesso paio di tette. Una puttana. Una puttana indipendente. Anche grazie a me. Elena abita in una villetta brutta come il debito nella periferia di un paese più brutto della villetta. Lontano da Riccio e da Ciro. Non ho più il suo numero, ma so come arrivare da lei. Ho bevuto il caffè in un solo sorso. Una chiavica di caffè da autogrill. Ho incrociato lo sguardo della bruna. Stava con un bidone tatuato, sicuramente cornuto. Ho preso il giornale e sono tornato in macchina.

Mamma ha risposto al primo drin. Ha detto un pronto che era un sospiro. M'è bastato quello. Non volevo sapere altro. Non ora. Era pure meglio che restavo zitto. Tanto lo so, ha capito che ero io. Lei è viva. E questa era un fatto buono. Per tutti e due.

Il giornale. Cronaca locale. Il pezzo che cercavo.

 

Un regolamento di conti e una ritorsione. Gli investigatori non hanno dubbi. Gli omicidi di Franco Marotta e Luca Sepe e quelli di Mario Mezzacanna e Giovanni Pisano sono la risposta diretta e immediata al duplice omicidio di via Manfredi, dove hanno perso la vita due giovani, Francesco Riccio, figlio di Aniello, potente boss dell'omonimo clan e il pregiudicato Matteo Liveri. Da una prima ricostruzione dei fatti sembra l'epilogo di una guerra tra bande per il controllo delle piazze di spaccio nella zona dei quartieri. Lo scontro sarebbe appunto tra gli uomini di Riccio e quelli di Ciro Abbagnale, un personaggio ritenuto dagli investigatori estremamente violento e ora pronto – evidentemente – a conquistare spazi sempre maggiori nel ricco mercato della droga. Abbagnale avrebbe deciso di approfittare delle difficoltà del clan Riccio, indebolito dal blitz di qualche giorno fa che ha portato all'arresto di dieci affiliati e dalle indagini in corso dopo le rivelazioni del pentito Luigi Maiorino, uno degli esponenti di primo piano del gruppo malavitoso.

Ancora nessuna notizia, intanto, di Anna Vernieri. Nell'abitazione della giovane infermiera si è verificata – lo ricordiamo – la sparatoria che è costata la vita a Franco Marotta e Luca Sepe, esponenti di spicco del clan Abbagnale.

 

Giornalisti. Non capiscono un cazzo e scrivono per riempire i fogli di carta. Però il fatto che don Aniello tiene le guardie addosso è una buona notizia. E pure che Ciro sta cacato sotto. E mo pensano che vuole fare la guerra a don Aniello. Che grande stronzata. I Riccio se lo mangiano a morsi a Ciro. A lui e a tutti le bestie che gli stanno attorno. Mo la questione è Anna, che ha raccontato ai carabinieri?

Ho messo in moto e sono partito. Direzione Barbara. Mi aggrappo alle sue tette per salvarmi la vita. Mi sono messo a ridere. Ma mi sono subito sentito un fesso, come quando facevo i tuffi a bomba sul pennello. Mi sono guardato nello specchietto. C'era la mia testa pelata e la faccia di uno che non tiene niente da ridere. Mentre pigliavo l'autostrada ho visto una macchina dei carabinieri fermarsi davanti all'autogrill.