Salerno

 

di Luciano Trapanese

Il solito plebiscito, anche senza De Luca. O meglio: senza De Luca in prima linea. Perché il governatore in realtà c'era. E in modo plateale. Ieri sera, dopo che lo spoglio ha sancito in maniera inequivoca la vittoria di Enzo Napoli, sindaco facente funzione uscente, è stato proprio il presidente della Regione – che non ha mai smesso del tutto i panni di primo cittadino di Salerno – a dettare la linea (guarda il video sotto). Senza evitare – anche nel giorno della festa – qualche stoccata al neo sindaco, reo di non aver garantito negli ultimi mesi il suo stesso pugno di ferro («la ricreazione è finita»). Soprattutto sul fronte sicurezza («accogliamo tutti, ma buttiamo fuori quelli che danno fastidio, i delinquenti»). De Luca ha parlato a lungo con i cronisti. Delineato i programmi dell'amministrazione. Quasi un discorso da sindaco (ma il quasi si può togliere).

E l'opposizione? Si è sbriciolata. Divisa in mille rivoli e senza una proposta unitaria. Eppure la città ha bisogno di una lettura alternativa al monologo deluchiano. Una visione diversa sullo sviluppo della città. Anche per poter avviare un confronto serio. E invece – lo diciamo con amarezza – la campagna elettorale è stata davvero povera di contenuti. Non basta dire che non ci piace il Crescent o le luci di Natale per picconare un potere che si è costruito negli anni, pezzo dopo pezzo, e ora sembra difficilmente scalfibile. Serve un'idea forte, credibile e condivisa. Che non c'è. O almeno non è stata proposta in maniera convincente agli elettori. I detrattori di De Luca non sono in sintonia con quella parte consistente dei salernitani che vive con timore la possibilità di un ritorno al passato, a quello che Salerno era prima di Giordano (l'indimenticato sindaco dell'era contiana): una città malinconica e dal fascino decadente. E soprattutto, per niente attrattiva, un posto come un altro nel cuore del Mediterraneo, con l'unico pregio di essere a due passi dalla Costiera Amalfitana.

E' anche vero che è più che difficile contrastare un candidato che ha un'intesa totale con il governatore della Regione. Con quel De Luca che dichiara: «Salerno ha un'occasione storica di sviluppo. Arriverà un miliardo di euro, come in altri capoluoghi della Campania. Con questi soldi saranno completati tutti i progetti e creati migliaia di posti di lavoro».

Il confronto è tra chi, da un quarto di secolo, ha l'obiettivo di cambiare radicalmente la città (e, piaccia o meno, ci sta riuscendo), e chi – invece – oltre a schierarsi contro (per motivi che possono anche avere delle ragioni), non riesce a proporre con uguale forza una visione di futuro che parta dall'oggi per costruire quello che verrà, senza soffermarsi – con inutile nostalgia – su quello che era e non c'è più (che poi, in verità, non era così indimenticabile).

E' su questa impasse che l'opposizione al deluchismo va incontro a continue divisioni e inevitabili scoppole elettorali.

Due parole sul nuovo sindaco. Enzo Napoli è stato definito da De Luca una persona «seria, equilibrata e rispettabile». Ma tutti lo considerano anche il sindaco della transizione. Del passaggio da un De Luca all'altro. Ovvero da Enzo a Roberto, il secondogenito del governatore, l'erede designato alla carica di primo cittadino di Salerno. Un passaggio che dal punto vista generazionale è ineccepibile. Ma che una parte della città interpreta come una successione dinastica. Una sorta di monarchia democratica in chiave salernitana. La questione di fondo resta sempre la stessa: se non c'è una concreta, credibile e condivisa proposta alternativa, scalzare De Luca o chi ne fa le veci non sarà difficile, ma impossibile.