Avellino

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Quarta puntata.

di elleti

Anna dorme sul divano. Dalla finestra i primi raggi del sole le sfiorano la pelle bruna delle cosce. Mi fa ancora sangue, ma me la posso scordare. L'ho chiusa dentro un pozzo nero. Lei non voleva guai, ma quando mi ha visto ha capito. Portavo dolore e sangue, come quello che mi colava dal braccio e le insozzava il pavimento. Non si è tirata indietro. Non mi ha sbattuto la porta in faccia. Doveva farlo, cacciarmi a calci. Ora non sarebbe qui, sul divano sfondato di una vecchia casa al mare, a nascondersi senza speranza da un branco di cani arraggiati.

Accendo un'altra sigaretta. Non ho chiuso occhio. Ma dovrei riposare, fermarmi. Una pausa, solo qualche ora. Devo essere lucido o sono già morto. Mi guardo allo specchio e sorrido. Sono un coglione. Morto. Devono solo decidere quando, come e dove. E sul come tengo una sola speranza: una botta in petto che manco sento la vita che se ne va a puttane.

Una vita di merda, passata a correre appresso a niente. Sono arrivato a trent'anni e non ho capito come. Volevo fare il marinaio sopra le navi mercantili. Papà mi portava al porto e le guardavo. Da vicino erano grosse e belle e lo sapevo che giravano per tutto il mondo. Tutto il mondo...

Anna dormiva ancora e mi è salito il pensiero di Gina. Non me la scordo mai, torna sempre. Ha avuto lo stesso destino di Anna, per colpa mia s'è stracciata la vita. Come se l'avessi uccisa con queste mani.

Gina teneva diciassette anni, stava con una chiavica da quattro soldi che la menava pure. L'ho conosciuta a una festa. Rideva, ma teneva lo sguardo triste. Ho pensato che faceva una brutta vita. Poi ho capito che quella luce là, dentro gli occhi, è la stessa luce scura che brilla negli occhi di tutti quelli che hanno un brutto destino e non lo sanno. Mi sono guardato un sacco di volte allo specchio, per capire se anche io avevo la vita disegnata negli occhi. Ma non l'ho capito. O forse sì, ora sì. Siamo usciti in moto e poi nel mio appartamento. Abbiamo fatto l'amore tutta la notte. Non contava più niente. Quando l'ho accompagnata a casa teneva paura. «Se lo sa Peppe m'accire». Ma Peppe se la doveva scordare. L'ho aspettato davanti al portone, la sera dopo. Stava assieme a un amico. Uno scuro e corto che faceva il meccanico. All'inizio non ha capito manco chi ero. L'ho colpito con un bastone. In testa, sulla schiena, sulle gambe. L'amico se n'è scappato. «Lascia perdere Gina, non sta più con te». Stava a terra, mezzo stonato. Gliel'ho ripetuto. Voleva reagire. Due pugni in faccia, s'è scassato il naso. «Ci simm' capit'». Aveva capito. A Gina ha fatto solo una telefonata, poi si è tolto dalle palle. Teneva paura, e non solo di me. Ma della gente che mi stava attorno. Avevo già iniziato a lavorare per Ciro.

A Gina me la volevo sposare. Tenevo venticinque anni, i soldi e una casa. Poi quella notte tutto è finito. Stavamo tornando a casa, sopra una moto. Lei teneva sempre paura quando correvo e mi abbracciava forte. A me piaceva quell'abbraccio, e correvo pure per quello. Poco prima della tangenziale, un incrocio che ogni volta che lo vedo mi viene da vomitare, siamo finiti nello sportello di una macchina. Gina ha fatto un volo, è caduta con la testa sull'asfalto. E lì è rimasta. Ferma. Morta.

Anna si è svegliata mentre facevo il caffè. Continuava a stare zitta. Ho acceso la televisione.

«E' stata una notte di sangue. Una lunga scia di morte che ha attraversato le strade della città. Prima l'agguato in un circolo nei quartieri. Due persone uccise, Francesco Riccio, 22 anni, figlio di un noto boss, e Matteo Liveri, di 24. Una terza persona è rimasta ferita. Poche ore dopo altri due morti, nell'abitazione di una giovane infermiera. A poche centinaia di metri dal circolo. Sono stati barbaramente ammazzati Franco Marotta e Luca Sepe, due pluripregiudicati ritenuti affiliati a un clan della malavita organizzata. All'alba altre due morti. Non sono stati ancora identificati. Erano orrendamente sfigurati. Per gli investigatori questa catena di delitti potrebbe essere collegata e i due episodi che hanno fatto seguito all'esecuzione nel circolo non sarebbero altro che le immediate ritorsioni per quel duplice omicidio».

Sono andati pure Mario e 'o Pisano. Resto solo io. Io e Anna. Ci cercano tutti e ci troveranno. Anche presto. Anna mi ha guardato, teneva gli occhi rossi: «Non serve neppure che scappiamo...»

Teneva ragione, ma non poteva finire così.