Si è scatenata la furia di Poggioreale. Un vero e proprio linciaggio in cella. Raimondo Caputo, il 43enne arrestato per l'omicidio della piccola Fortuna Loffredo, è stato aggredito e pestato nella cella al terzo piano del padiglione "Roma" del carcere di Poggioreale dagli stessi detenuti che con lui dividevano la stanza. Botte e sangue nel padiglione che ospita i cosiddetti sex offenders. Ad evitare la tragedia sono stati due agenti della Polizia Penitenziaria, che hanno sottratto alla furia degli aggressori il 43enne.
I detenuti hanno "giudicato colpevole" Caputo e si è scatenata la furia. E non hanno aspettato per eseguirla: l'uomo è stato violentemente pestato dai suoi stessi compagni di cella. Tra loro c'è anche il giovane che un anno fa venne arrestato per le sevizie commesse ai danni di un ragazzino a Pianura.
Il fatto - che viene confermato al "Mattino online" da una fonte autorevole - è accaduto lo stesso giorno in cui il presunto assassino della bimba di sei anni è stato tradotto in carcere.
Le urla che provenivano dalla cella al terzo piano del padiglione Roma, che ospita i cosiddetti "sex offenders", autori di reati gravi legati alla sfera sessuale hanno richiamato gli agenti. La direzione del carcere è immediatamente intervenuta attivando un'indagine interna per identificare gli aggressori. Si cercano i colpevoli e presto anche la Procura di Napoli potrebbe aprire un facicolo sul'accaduto. Nel frattempo Raimondo Caputo è stato trasferito in altra cella, in isolamento. L'uomo nell'interrogatorio si è dichiarato innocente. «Non ho ucciso Fortuna, non ero lì quando lei è caduta, né ho mai commesso abusi sessuali»: si è difeso così nell'interrogatorio di garanzia davanti al gip accusato di aver violentato e ucciso la piccola Fortuna Loffredo, di 6 anni, buttandola giù dall'ottavo piano nel Parco Verde di Caivano il 24 giugno 2014.
Due inquiline del «palazzo degli orrori» di Parco Verde sono indagate dalla Procura di Napoli Nord per l'ipotesi di reato di false dichiarazioni rese all'autorità giudiziaria. Fra le persone indagate - si apprende da fonti vicine all'inchiesta - vi è la donna che gli investigatori ritengono abbia raccolto la scarpa persa da Fortuna al momento della morte. La donna raccontò agli investigatori che, il giorno della morte di Fortuna, era rimasta seduta tutta la mattina fuori alla porta di casa e non aveva visto passare nessuno. Qualche giorno dopo però la donna venne intercettata nella sua abitazione mentre parlava con il figlio. «L'ho buttata io la scarpa, non lo voglio dire a nessun 'u fatt ra scarpetellà, perché qua sono venute le guardie», diceva, riferendosi al sandalo di Fortuna, perso durante la caduta dall'ottavo piano del palazzo.
Simonetta Ieppariello