Esattamente due anni fa, il 30 aprile 2014, moriva Roberto Mancini, il poliziotto-eroe che indagò sulla Terra dei fuochi e per quello si ammalò di tumore. Il suo sacrificio fu riconosciuto dopo una lunga guerra, passata prima attraverso un indennizzo beffa di cinquemila euro per «malattia derivante da causa di servizio» e culminata poi con l’attribuzione della medaglia d’oro al valor civile e il riconoscimento dello status di «vittima del dovere» da parte del ministero dell’Interno.
La sovraesposizione e il contatto con rifiuti tossici e radioattavi, lo portò a contrarre una malattia terribile: il linfoma di Hodgkin, un cancro del sangue. Le sue indagini ebbero inizio nel 1994 e già due anni dopo, Mancini consegnò nelle mani della Dda di Napoli un fascicolo in cui descriveva in maniera dettagliata il sistema messo in piedi dal clan dei Casalesi.
Il fascicolo rimase chiuso nel dimenticatoio per 15 anni. Quel fascicolo spuntò fuori solo quando ormai la bomba ecologica era esplosa. Lo stesso Mancini, durante una delle sue ultime interviste concesse al programma Servizio Pubblico dichiarò: “L’informativa è rimasta chiusa nel cassetto per 15 anni, se l’avessero notata prima magari qualche morto si sarebbe evitato”.
Roberto il 30 aprile 2014, ha lasciato una moglie e una figlia. La figlia disse ai funerali a soli 13 anni: «Mio padre ha dei nemici? Bene, ha lottato per qualcosa nella sua vita».
Oggi, per ricordarne la memoria, la Polizia ha deciso di intitolargli una stanza del commissariato San Lorenzo di Roma. Alla cerimonia, oltre alla famiglia e alle istituzioni, sarà presente anche l’attore Beppe Fiorello, che ha interpretato il ruolo di Mancini nella fiction prodotta dalla Rai.
Siep