di Luciano Trapanese

Si vota, dopo la più oscurata delle campagne referendarie. Si vota, anche se il premier (come Craxi), ha invitato tutti ad andare al mare. Si vota, per il referendum che è passato all'opinione pubblica come un “sì” o un “no” alle trivellazioni tout court, anche se il quesito riguarda solo la cancellazione di un articolo del codice dell'ambiente che consente le trivellazioni (entro le dodici miglia marine dalla costa), fino a quando il giacimento non è esaurito.

La questione sembra tecnica. E non così decisamente rilevante. Non è così. In gioco c'è molto altro. In primis la politica energetica che l'Italia intende perseguire all'indomani del Cop21 (quel documento sottoscritto con apparente entusiasmo a Parigi anche da Renzi), dove i paesi più industrializzati hanno di fatto iniziato a intonare il de profundis per i combustibili fossili e si sono impegnati ad avviare strategie comuni per far crescere l'utilizzo di energie prodotte da fonti rinnovabili (scelta dettata dal disastro incombente provocato dai cambiamenti climatici).

Su questo punto Renzi e il suo governo hanno mostrato più di una ambiguità. E qualche interesse non proprio limpido (il caso Guidi, Tempa Rossa, l'inquinamento in Basilicata). Di più: sono aumentati i finanziamenti per le ricerche petrolifere e stracciati quelli per le rinnovabili. Non solo. Una lunga serie di scelte del primo ministro e del suo entourage sono andate decisamente contro fotovoltaico, eolico e idroelettrico. Una bizzarrìa rispetto a quello che Renzi continua a dichiarare all'estero (come in Nevada, dove ha vantato l'Italia come un Paese all'avanguardia nelle rinnovabili). Il gioco delle tre carte.

Quello che si chiede al governo (e l'esito del referendum può dare forza a questa domanda), è una chiara, definita, razionale strategia energetica per l'Italia. Un piano coerente, di medio lungo termine (come accade in Germania, in Inghilterra e in tante altre nazioni non solo europee, su tutte l'esempio dell'Uruguay, che ha quasi del tutto cancellato la sua dipendenza dai combustibili fossili), che consenta all'Italia di raggiungere quegli obiettivi che sono stati fissati nella conferenza di Parigi.

Se il petrolio non è il futuro, perché continuiamo a cercare “oro nero” sull'Appennino? Oltretutto per dei pozzi che – alla meglio – tra venti anni saranno esauriti? Cosa resterà della Lucania quando le compagnie avranno completato l'estrazione dai pozzi? Ve lo diciamo: un disastro (lo testimonia un reportage realizzato per “La Linea” dalla nostra Rossella Strianese e che andrà in onda questa sera su OttoChannel, canale 696 del digitale terrestre: trenta minuti per raccontare la devastazione che il petrolio sta causando in una regione già povera e che ora è povera e inquinata. Per sempre). Davvero si vuole ripetere la stessa esperienza in Campania, dove evidentemente non bastava la Terra dei Fuochi?

L'eventuale vittoria dei “sì” al referendum non comporterà la chiusura automatica delle piattaforme (come si vuol far credere), ma potrebbe servire per inviare un messaggio al governo. Chiaro, palese. Un invito a fare chiarezza, a decidere una volta e per tutte la strada da seguire. Chiarezza che deve essere imposta anche se non si raggiungesse il fantomatico quorum. Altrimenti – è inutile negarlo – la sensazione che Renzi e i suoi facciano gli interessi di qualche gruppo di potere (che evidentemente include i petrolieri), si trasformerebbe in certezza. E slide e slogan non potrebbero bastare a far cambiare idea.