Ci sono solo due immigrati che passeggiano lungo la statale 221. Stanno ritornando all’agriturismo dove sono ospiti insieme ad altri 34 extracomunitari, che l’altro ieri hanno bloccato il collegamento provinciale in segno di protesta a causa dei ritardi per i permessi di soggiorno. E’ ora di pranzo e nella struttura si sta cucinando.
Molti sono pakistani, alcuni afghani, altri del Bangladesh e altri ancora somali. Parlano tutti bene l’inglese ed hanno voglia di spiegare i motivi del gesto di mercoledì. «Non è possibile stare qui per mesi e mesi senza far nulla-racconta in inglese un ragazzo pakistano. E’ troppo lungo il tempo di attesa per i permessi di soggiorno definitivi. Noi abbiamo grande rispetto per l’Italia, per gli italiani e per la loro accoglienza, solo vogliamo andare via».
Un somalo si avvicina e pone a chi non è del centro di accoglienza una domanda: «Come vi sentireste per 4 o 5 mesi a mangiare e a dormire soltanto senza poter far nulla?». Perché siete andati via dal vostro paese? Quasi tutti rispondono «Per problemi politici e per la guerra». Molti vorrebbero andare in Francia o in Germania.
C’è chi però parla l’italiano. E’ un ragazzo del Bangladesh. Prima che faccia da mediatore, gli altri gli dicono quali sono le loro richieste e i motivi della protesta: «Loro sono arrivati in Italia perché vogliono trovare qualcosa di meglio. Ieri hanno bloccato la strada perché hanno bisogno di documenti, carta d’identità, carta di soggiorno, carta per la banca. Nei loro Paesi ci sono tanti problemi e lì non possono stare. Ieri è venuto il capo della Polizia ed ha promesso, davanti a tutti, che venerdì (oggi) avrebbe portato il permesso di soggiorno. Poi questa struttura è piccola per contenere 36 persone. Per questo motivo 10 persone dovranno essere portate in un’altra nuova struttura, qui vicino».
Nel frattempo è arrivato anche il responsabile, Bruno Tornasciuolo: «I ragazzi volevano il permesso di soggiorno, purtroppo non è una cosa che possiamo dare noi, è la Questura che deve dare loro i documenti, non sono competenze nostre. Le nostre competenze sono quelle di farli mangiare bene, di farli stare bene e basta, e pagare il pocket money. Loro il pocket money non lo vogliono giornaliero, ma bensì lo vogliono mensilmente perché non… è l’unica cosa che noi non potevamo dare loro, perché loro non l’hanno voluta, perché quelli volevano i soldi tutti i giorni».
Si tratta di un contributo di 2 euro e 50, il cosiddetto pocket money, a cui ha diritto ogni migrante e che viene assegnato loro “giornalmente” dalla struttura e dagli enti che li ospitano. «Non è semplice rilasciare loro i documenti – riprende il responsabile - c’è bisogno di fare un comparaggio tra la Questura di Benevento e Caserta sui dati che gli extracomunitari rilasciano, a cui va aggiunto l’iter delle vaccinazioni e delle visite mediche». Un ragazzo pakistano mostra una sorta di soggiorno provvisorio che gli è stato rilasciato dalla Questura. E’ datato ottobre 2015.
«Perché è passato tutto questo tempo?». Si domanda. Insieme a lui ci sono altri due connazionali, due chef, uno di loro è stato prima in Austria e anche nel centro di accoglienza di Caltanissetta e attendono come gli altri il permesso di soggiorno definitivo per poter andare via e trovare un lavorare. «Sono due ottimi cuochi –racconta il gestore – cucinano pakistano ma hanno imparato anche a cucinare italiano». C’erano anche due consiglieri comunali, Leonardo Masone di Pietrelcina e Nicola Gagliarde di Pago Veiano. «La questione va approfondita –commenta Masone - perché qui la situazione è particolare. Nel senso che ci sono vari casi a prescindere dalla nazionalità, molti sono pakistani, c’è qualche somalo, gente del Bangladesh. E probabilmente vanno anche visti come casi a sé.
La situazione non è così facile al di là delle dicerie, tipo la richiesta di queste persone di avere più soldi, in realtà non sembra così. Vivono sicuramente in condizioni migliori rispetto al loro Paese di provenienza. Il concetto, nell’immediato, è quello di risolvere queste problematiche di natura burocratica. Chiedono il permesso di soggiorno come rifugiati, avendone diritto, e lo attendono da 4 mesi. Viene promesso loro tutti i giorni, ma sempre disatteso. Oggi abbiamo avuto un colloquio generale. Magari parlando singolarmente con ognuno di loro si potranno capire meglio altre cose».
Per Nicola Gagliarde invece: «Ciò che andrebbe sicuramente affrontato è anche l’aspetto di come queste persone trascorrono la giornata. Si lamentano tutti di mangiare e dormire soltanto, quindi avrebbero bisogno di attività giornaliere in modo da essere più impegnati». Fanno i corsi di lingua italiana, spiega poi il responsabile e c’è giù un campo dove possono giocare a basket, poiché il calcio non lo pratica nessuno.
Gli stranieri ospitati a Pietrelcina, nel frattempo, hanno finito di pranzare, alcuni spiegano ancora le loro esigenze, qualcuno invece canta la preghiera in arabo dalla camera da letto. Viene raggiunto infine il sindaco di Pietrelcina Domenico Masone, per un commento sull’accaduto: «E’ un problema che non spetta a noi, che non spetta a Pietrelcina, ma è un problema nazionale che va affrontato con saggezza, umanità e comprensione. Sono sicuramente persone che scappano da una guerra. Ma neanche è buono che ci sia indigenza e crisi dalle nostre parti. Sembra quasi una disputa tra poveri. E avvilisce chi amministra soprattutto nel paese di Padre Pio, che è di per sé dedito all’accoglienza».
di Michele Intorcia