Yuval Noah Harari, famoso storico e filosofo israeliano, in una conversazione con il giornalista Andrew Ross Sorkin pubblicata dal canale You Tube Big Thing il 20 novembre 2024 ha detto che "La storia dell'universo, per come la conosciamo, può essere sintetizzata in due momenti chiave. Il primo risale a circa 4 miliardi di anni fa, con l’emergere delle prime forme di vita organica sulla Terra, che hanno dominato l’evoluzione per miliardi di anni, attraversando fasi con organismi semplici come le amebe fino ad arrivare a specie complesse come i dinosauri e gli esseri umani.
Nonostante i progressi tutta l’evoluzione è rimasta confinata al regno organico. Il secondo momento di svolta nella storia dell’universo è avvenuto con l'avvento dell'intelligenza artificiale (IA), che rappresenta l’inizio di una nuova fase: l'evoluzione inorganica". Harari paragona l’IA attuale, inclusi strumenti come GPT-4, alle amebe di questa nuova era, sottolineando che siamo solo agli albori di un processo evolutivo che potrebbe portare alla comparsa di forme inorganiche sempre più complesse.
Marc Benioff - fondatore e CEO di Salesforce, un'impresa statunitense di cloud computing che consente alle aziende di ogni dimensione e settore di sfruttare le potenti tecnologie della cosiddetta quarta rivoluzione industriale (Cloud, Mobile, Social, IoT e IA) per avvicinarsi ai propri clienti e che propone anche una piattaforma software sulla quale aziende e partner possono sviluppare nuove applicazioni - ha rincarato la dose affermando: "Credo che stiamo raggiungendo i limiti superiori dei Large Language Models (LLM)“.
Negli ultimi anni ci siamo inebriati del Kool-Aid di ChatGPT, sovrastimando le capacità dell’IA e il ruolo dei modelli linguistici nel suo sviluppo. Gli agenti autonomi capaci di svolgere compiti in modo indipendente rappresentano il vero futuro dell’IA". Insomma ci attende in ogni campo e in ogni momento della nostra vita una presenza sempre più ingombrante e (temo) anche più ammaliante e distopica dell'IA.
La "regressione organica" è dietro l'angolo e non fatico a immaginare un mondo governato dai robot, prima fedeli servitori, poi partner sempre più necessari e invadenti, infine dominatori incontrastati di quel che resta dell'umanità. In attesa che questo scenario, molto meno fantascientifico di quanto crediate, si compia e la terra si ritrovi catapultata in realtà tipo Teminator o, peggio, Matrix, mi godo il mito di Pigmalione spiegato con la consueta grazia da Roberto Vecchioni in un suo intervento televisivo di qualche giorno fa. Questo è il resoconto che di quella lectio magistralis Orizzontescuola.it ha fatto il 9 dicembre scorso - "Pigmalione, narrato da Ovidio nelle Metamorfosi, è uno scultore di Cipro che, deluso dalle donne altezzose e volgari della sua terra, scolpisce una statua di avorio raffigurante una donna ideale.
Con il tempo, Pigmalione si innamora della sua creazione, trattandola come una persona reale: le fa regali, le parla, la adagia sul suo letto. Durante le feste dedicate ad Afrodite, il timido scultore si rivolge alla dea chiedendo un segno di vita per la sua amata statua. Tornato a casa, abbraccia la figura inanimata e, con stupore, sente il freddo dell’avorio trasformarsi in calore. La statua prende vita, e i due si uniscono in un amore che culmina nella nascita di un figlio, Pafo, futuro re di Cipro. Vecchioni cita, a conclusione del suo bellissimo intervento, una frase poetica di Ovidio per descrivere il momento in cui la statua si anima: “Pariter caelum vidit et amorem”, ovvero “Vide contemporaneamente il cielo e l’amore”".
Provate a mettere insieme la realtà sempre più pervasiva delle macchine, anche frutto di una imperfezione emotiva ormai senza freni dell'uomo contemporaneo, con il bisogno di quest'ultimo di preservare comunque in qualche modo la sua umanità e vi ritroverete catapultati con tutto il vostro essere nel mito di Pigmalione, in quel desiderio comune (e insoddisfatto) di tutti gli uomini di amare ed essere amati senza pregiudizi o prevaricazioni.
Se è questo quello che a breve, a brevissimo, ci attende - inorganicità e robot - che almeno non accada a tinte fosche, non sopraggiunga nessuna apocalisse ma, come vaticinava Richard Gary Brautigan in una poesia del 1967, auguriamoci che possa avvenire come se fosse "tutto sorvegliato da macchine di amorevole grazia". Anche Ovidio ne sarebbe felice.