Savignano Irpino

Savignano Irpino e le sue tradizioni culinarie. Dal pane ai cicatiell' e fagiulin', pan cuott' cu lj vruoccl' d'rap', lu spezzatino cu lj card', lu suffritt' di puorch', li pizz' fritt e tante altre pietanze tipiche del popolo savignanese. Quale migliore pubblicazione da leggere nelle prossime festività natalizie accanto ad un fuoco acceso.

Un lavoro straordinario e inedito, una raccolta di oltre 80 pagine curata da in maniera davvero meticolosa da Carmelina Cavallari e realizzata dalla casa editrice Delta 3 di Grottaminarda.

Un'iniziativa particolarmente a cuore al sindaco di Savignano Irpino, Fabio Della Marra Scarpone il quale già dall'estate scorsa si complimentato con la sua concittadina per le sue straordinarie doti.

Savignano Irpino, terra di confine tra Puglia e Campania, si estende a volo d’aquila ad un’altezza di 718m. Fin dall’antichità, il nostro territorio ha fondato le proprie radici nell’agricoltura, che continua a costituire la base della nostra economia.

L’agricoltura del passato era estremamente faticosa, poiché tutte le attività venivano svolte manualmente, con il sudore del lavoro fisico. Gli animali, in particolare, svolgevano un ruolo essenziale, partecipando attivamente alla coltivazione del terreno, nell’aratura, nel trasporto delle merci e in altre attività connesse.

"Il popolo savignanese è da sempre laborioso, coeso e solidale. L’aiuto reciproco, il rispetto e la condivisione sono pilastri fondamentali. Già da tempi addietro ci si considerava una grande famiglia e la volontà di stare insieme portava a condividere ogni cosa, dalle fatiche lavorative ai risultati di quest’ultime. Le giornate iniziavano presto, con il lavoro nei campi sin dalle prime ore del mattino.

La prima colazione - racconta Carmelina Cavallari - veniva consumata intorno alle ore 09:00-10:00 del mattino ed era costituita principalmente da alimenti come frittata, peperoni fritti e pane. Verso le ore 15:00 del pomeriggio, si consumava “l’ammren” (il pranzo), che era costituito da prosciutto, salsiccia, formaggio, pane, acqua e un po’ di vino.

A fine giornata, vi era il piatto caldo che variava tra pizzell’ e patan’, maccarun’ e minest’, fagioli con la cotica, o ancora pan’ cuott’ cu lj vruochl’ e pupiciell’ affort’. L’arte culinaria si basava su ingredienti semplici e genuini, sfruttando ciò che il territorio offriva.

Ogni famiglia possedeva il proprio orto, un tesoro che offriva un’ampia varietà di prodotti, dai legumi come fagioli, ceci, lenticchie, cicerchie, fave e favucce, alle verdure tra cui patate, bietole, cicorie, sedano, aglio e cipolle.

Inoltre, si ricercavano anche erbe selvatiche, anch’esse offerte dal territorio, come cicurion’, cicoria selvatica, finocchietto, funghi, asparagi e lampacion’ (cipolle rosse selvatiche che venivano utilizzate per preparare la frittata di lampacion’ con le uova). La maggior parte del terreno agricolo era destinato alla coltivazione di grano, granturco, avena e orzo.

Ne consegue la diffusa la produzione di pane, che avveniva nei diversi forni presenti nel paese, ospitante all’epoca circa 4 mila abitanti. I forni erano costantemente attivi, riscaldati con rovi provenienti dal bosco locale e paglia. Una volta riscaldati, per mantenere la temperatura costante e garantire una cottura uniforme del pane, si utilizzava la “cama”, costituita da residui di paglia che serviva per mantenere inalterata la temperatura del forno.

Il territorio vantava anche numerosi vigneti, contribuendo così a rendere il vino un prodotto tipico di rilevanza.

Successivamente - continua Cavallari - si è assistito allo sviluppo della coltivazione dell’ulivo e alla produzione dell’olio Ravece, prodotto di altissima qualità apprezzato sulle tavole locali e non, sinonimo e marchio di qualità. La comunità era composta da persone semplici, di cuore, affettuose e fortemente radicate ai valori ed alle tradizioni. Questo Stile di vita è stato tramandato ed assimilato con orgoglio, poiché rappresenta un patrimonio di cui andarne fieri ed esserne eterni custodi".

Un libro che Carmelina Cavallari ha voluto dedicare ai suoi genitori, persone di grande spessore, semplici, umili, e con sani principi, ricchi di valori: fede, rispetto e onestà.

"È solo grazie ai loro insegnamenti se io oggi posso rendere testimonianza sulla tradizione savignanese. Fin da bambina mi sono scontrata con realtà più grandi di me. Ricordo che non avevo nemmeno otto anni quando mia madre mi portava con lei per fare il pane, diceva che “l’albero si piega da piccolo”. Le mie prime emozioni nel toccare la farina, e poi il mio primo approccio nel fare la pasta a mano come “le famose orecchiette”, e così piano piano senza accorgermene è diventata una vera e propria passione".